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La penna di Peter Cameron ha il potere di essere sempre molto accogliente. E se è vero che noi leggiamo per trovare qualcosa nella quale riconoscerci, lui riesce sempre a creare uno specchio magico, capace di farci riflettere su quello che vorremmo essere, e allo stesso tempo, mostrarci ciò che, invece, siamo.

Quello che più si percepisce nei 12 racconti di questo libro sono sentimenti e sensazioni: tutte le storie riguardano l'intimità delle persone, le loro vite private, le relazioni con gli altri. Cameron riesce sempre a disegnare molto bene il carattere dei suoi personaggi e nei protagonisti di questa raccolta possiamo ritrovare soggetti molto simili a noi. Nessun eroe, semplicemente esseri umani. Confusi, spietati, tristi, bugiardi, raccontati con il filtro della quotidianità. E così ci rende tutto più reale, facendoci sentire degni di normalizzare i nostri sbagli: «Allora non sono il solo a compiere queste azioni!». Quando si legge un testo come questo, dopo ci si sente più leggeri.

Nei racconti ci sono persone che hanno lati di cui si vergognano e tendono a mascherare con tutte le forze, a costo di rovinarsi la vita; altre che non vogliono vedere la realtà dei fatti, cercando di nasconderla sotto al tappeto; donne e uomini comuni, insicuri e innamorati, che si lasciano o si ritrovano. Gente confusa che si muove disperatamente per trovare una stabilità o prova ad avere una vita ordinaria, dimenticandosi della straordinaria bellezza che la libertà potrebbe offrirgli. Insomma, un bel viaggio nelle umane passioni.

Ma non solo. Quello che il libro ci offre è anche un viaggio nella vita dell’autore. Infatti, i racconti presentati da Cameron sono stati scritti nell’arco della sua vita: uno di questi, Il Cane segreto, durante gli anni del college.

Copertina del libro di Peter Cameron

Copertina della raccolta di racconti di Peter Cameron

 

BRANI TRATTI DA CHE COSA FA LA GENTE TUTTO IL GIORNO?

 

Fuochi d’artificio
«Ti amo ancora». Tom ha aperto gli occhi.
Non sapevo cosa rispondere perciò sono rimasto zitto. Ho pensato: che pena coloro che non sono più amati. Che meticolosità nel soffrire, e nel coltivare il rifiuto tormentandosi di continuo le ferite. «Mi pareva di doverlo dire», ha fatto lui «anche se ho l'impressione che non avrei dovuto».
«No» ho replicato. «Insomma, pensavo solo che, sai, fosse tutto finito».
«Lo so, lo pensavo anch'io».
«Per me è finita» ho detto io. «Lo so, lo so bene». Tom si è alzato e si è messo lo zaino in spalla. «Dimentica quello che ho detto, andiamo». Si è incamminato verso la strada e l'ho seguito.

«C'è qualcosa che per te ha importanza?».
«Ma certo».
«Cosa?». Ho cercato di pensare a cosa l'avesse ma non mi è venuto in mente niente, perciò non ho risposto. Siamo rimasti entrambi zitti. La banda all'improvviso è sembrata suonare più forte, ma mi sono reso conto che non si trattava della banda, quanto di una specie di sgangherata esplosione. Ho pensato: fuochi d'artificio. Ho alzato gli occhi al cielo in attesa della loro sfavillante e improvvisa parabola discendente, ma il rumore è continuato e il cielo è rimasto scuro. E poi il rumore è cessato.
[...]

Cambiare direzione
«Sei di malumore». Ted non risponde.
«Io cerco di trascendere i miei malumori», dice Diane «per il bene degli altri. Mi hai mai visto di malumore?».
«No».
«Lo sono stata tutta l'estate, e anche adesso». Sorride. «Ma riesci a capirlo? Voglio ancora andare a letto con te. Voglio accarezzarti la guancia sopra ogni cosa al mondo. Ma trascendo queste cose, tengo le mani a posto». Le guarda mentre giocano con il ghiaccio rimasto nel bicchiere. «In senso figurato».

Non riesce a capire perché, visto che sta seriamente cercando un lavoro, che ha smesso di vedere Diane e che si è reso conto di amare davvero Helen, perché non si senta meglio con sé stesso. Di sicuro sbaglia ancora qualcosa. Si guarda il viso senza barba nello specchio. Fa fatica a riconoscersi.
In camera da letto Helen mette giù il libro e lo osserva mentre si spoglia. Sorride, si sporge in avanti. Se solo Ted riuscisse ad avere idea di cosa sbaglia lo cambierebbe subito e tutto tornerebbe a posto. Vorrebbe tanto che partisse una musica: lui muoverebbe le labbra e spiegherebbe a Helen questo, e anche tutto il resto.
[...]

Guantone da baseball

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Sul campo da baseball
«Vuoi fare qualche colpo?» mi ha chiesto Jason offrendomi il bastone. «Volentieri». L'autunno precedente ero stato nella squadra di golf, ma quella primavera avevo giocato a baseball. Penso che il golf sia uno sport d'élite. Il baseball è più democratico. Ho posizionato la palla sul tee e ho provato lo swing perché mio padre, che mi ha insegnato a giocare, mi ha detto di provarlo sempre. Senza eccezioni. Il primo colpo è andato abbastanza bene. Non è arrivato troppo lontano, ma ha seguito una traiettoria dritta e ha rimbalzato per un bel po' prima che ne perdessi le tracce nel buio. Ho tirato di nuovo. Jason, nella postazione vicino alla mia, ha poggiato il bastone e mi ha guardato. «Hai un bellissimo swing naturale» ha detto. La sua attenzione mi ha infastidito e ho quasi mancato la palla, che è caduta giù dal tee. L'ho recuperata e l'ho messa di nuovo in posizione.
«Aspetta» ha fatto lui. Mi è arrivato alle spalle. «Ci metti troppa forza nello swing». Si è chinato verso di me fino ad abbracciarmi da dietro, le grandi mani abbronzate sopra alle mie, e ha stretto il bastone. «No, rilassati» ha detto con la voce vicina alla mia guancia. Ho provato a rilassarmi ma non ci sono riuscito. All'improvviso ho sentito un gran caldo.
[...]

Quando lui se ne andrà
Che il vino vada a prenderselo da solo. E poi in negozio bisogna pagare per quello che si compra e pagare è una cosa di cui ha paura. Quando l'uomo – martedì dopo cena – se ne andrà, lei dovrà comprarsi da sola le cose che le servono. È uno dei lati peggiori di quella decisione. Lati brutti ce ne sono parecchi, ma è quello a preoccuparla di più. Forse morirà di fame quando lui se ne andrà. Al college era quasi morta perché non riusciva a mangiare in mensa, davanti agli altri. Lei odia mangiare davanti agli altri per via di come muove la bocca e del colore del cibo che le viene sulle labbra mentre tutti guardano. Arrivata a pesare meno di quaranta chili a - neanche metà del primo semestre - sua madre aveva lasciato che abbandonasse gli studi.
[...]

Un’estate caldissima in città
Lì da fare per noi non c'era niente, se non andare di stanza in stanza tutto il giorno, fumare, parlare o stare zitti. Uscivamo di casa e camminavamo per le strade di quella città in stato comatoso solo quando era strettamente necessario, quando avevamo bisogno di comprare qualcosa o non sopportavano più di essere intrappolati fra quelle mura, e allora uscivamo uno alla volta e camminavamo nell'ombra. Non abbiamo mandato Louisa a scuola per paura di suscitare gli stessi sospetti e accertamenti e ultimatum che ci avevano spinto a lasciare la fattoria, ma la povera Louisa ogni mattina indossava un vestito della bambina morta e si legava i capelli in due codini, aspettando pazientemente tutto il giorno che venisse l'ora di andare perché lei amava la scuola, amava la dolcezza della sua maestra e la turbolenza degli altri scolari, e non riusciva a capire perché era stata esclusa da un mondo che aveva sfiorato brevemente e le era sembrato incantevole. Penso che ci sentissimo tutti in quel modo: rinchiusi in gabbia e sconnessi, inutili e soffocati. Era anche un'estate caldissima in quella città industriale delle pianure, e per giorni e giorni e notti e notti non tirava un filo d'aria, le tende pendevano abbattute alle finestre come bandiere di un esercito sconfitto. Constance e Patience erano sempre più apatiche e sonnolente, al mattino si svegliavano a fatica avendo dormito ben poco durante la buia notte rovente, si vestivano il meno possibile o quasi per nulla, e se ne stavano languidamente stese a letto a fumare, oppure in trance davanti alle finestre aperte, quasi potesse arrivare una bava di vento a resuscitarle. Era strana la vita che vivevamo in città, una vita dimezzata, e con il passare dei giorni e il sole estivo sempre più impietoso, e le notti estive che restavano incandescenti perfino con l'arrivo del buio, abbiamo smesso di toccarci, abbiamo smesso di parlarci, abbiamo smesso di amarci. Constance è stata la prima ad andarsene.
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Ombre di cane e di uomo

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Segreti e sospetti
Non tiene il viso rivolto verso di me, ma verso il lavello. «Con chi ti vedi?» dice. «La conosco?» Non avevo mai pensato che potesse venirle in mente una relazione. Che gran sollievo, perché se è questo che crede, del cane non sospetta. «Non ho una relazione,» dico «non mi sono visto con nessuna».
Lei gira lo sguardo verso di me. «Sul serio?».
«Si, sul serio».
«Dove sei stato?» Ci penso un po' su. «Non posso dirtelo». Miranda abbassa gli occhi sul dito. «Perché non puoi?»
«È un segreto. Non posso dirtelo perché è un segreto. Ma non ho una relazione, lo capisci?». Per qualche secondo lei non parla. Getta un'occhiata oltre le mie spalle, alla sua immagine riflessa nella finestra. Anch'io mi giro a guardarla nella finestra. È molto bella. Vedo la bocca che si muove contro la notte.
«Sì», dice «lo capisco».

Scendo di sotto a prendere la cagnolina. È meraviglioso vederla. Stanotte sono molto triste e neanche lei riesce a tirarmi su.
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