Photo: © Emanuele Santori
Una sottile striscia di terra dalle infinite sfumature, con una bellezza che non dà tregua e, nel vortice delle stagioni, cambia solo d’abito.
La penisola italica è stretta ma dotata di una solida e talvolta aspra spina dorsale. Ben lo sapevano gli antichi Romani che l’hanno attraversata, con le loro vie consolari, a diverse latitudini.
Tra di esse la Salaria, il cui primo tracciato risale ai Sabini, che con i suoi circa 200 chilometri la taglia dritta dalla Capitale all’Adriatico. Era appunto la strada del sale, un bene prezioso che dalle coste marchigiane veniva trasportato a Roma.
Oggi, oltre a essere un’arteria commerciale, è strada prediletta dai vacanzieri, fosse anche solo per il fine settimana. Attraversa paesi deliziosi, ricchi di attrazioni, sia per chi sale dalla Capitale verso il passo della Torrita (il punto più alto con i suoi 1.010 metri) nei pressi di Amatrice, sia per chi, percorrendo il litorale adriatico, decide di lasciare la costa e attraversare la valle del fiume Tronto attratto dalle cime innevate.
Da Porto D’Ascoli, la Salaria (tuttora punteggiata dagli antichi cippi miliari) corre così lungo il fondovalle, tagliando il cuore dei centri abitati accompagnata dalla ferrovia e, superata Ascoli Piceno, inizia a salire lungo il versante orientale degli Appennini.
Un territorio di media montagna, in parte all’interno del Parco nazionale dei monti Sibillini, dominato dalla cima del Vettore che, con i suoi 2.476 metri di altezza, si stende come un leone accovacciato, visibile fino al mare.
Photo: © Emanuele Santori
Mille borghi punteggiano questa zona. I paesi più vicini ad Ascoli Piceno, maggiormente antropizzati, sono il rifugio di chi fugge dalla città in cerca di pace e silenzio per godere di viste incredibili, a fronte del disagio arrecato da una maggiore distanza dal luogo di lavoro. Quelli più interni, invece, sono animati d’estate dai proprietari delle seconde case, eredità dei tempi in cui la vita ferveva sostenuta dalle coltivazioni e dalla pastorizia, ma si abbandonano alla lentezza durante l’inverno, quando spesso solo il fumo di qualche camino segna indolente la presenza dei residenti tra il bianco della neve e il blu del cielo.
A ridosso del massiccio del Vettore c’è Arquata del Tronto, paese incantevole, a cui il terremoto del 2016 ha inferto un colpo terribile: rimane ora in piedi soltanto la rocca con l’antica torre, una volta poste a difesa degli abitanti negli eventi bellici e ora strenuo baluardo della bellezza di un territorio che vuole ostinatamente risorgere.
Più a valle si trovano Acquasanta, con le sue terme sulfuree, il borgo di Quintodecimo e Ponte d’Arli, che deve il suo nome alla pregevole ed elegante struttura costruita nel XVI secolo in stile romanico dai maestri comacini, utilizzando il caratteristico travertino ascolano.
Chi ha voglia, però, di vivere percorsi turistici non inflazionati, può risalire la valle del torrente Fluvione, rinomata per la presenza del pregiato tartufo nero, che cresce in un terreno geologicamente adatto, spesso impervio, tra alberi amici quali la quercia, il faggio e il nocciolo. Ci si può concedere una breve sosta alla cascata di Arena, dove c’è un mulino idraulico del ‘600, e poi, passando per Uscerno, entrare all’interno del Parco nazionale dei monti Sibillini. Si giunge così a Montegallo, il cui nome, di origine cinquecentesca, è composto dal termine monte e dal germanico wald (bosco).
Photo: © Emanuele Santori
Una grande terrazza offre una vista straordinaria sui Sibillini e la fredda, tersa aria invernale chiarisce bene il motivo per cui Giacomo Leopardi pensò di chiamarli «monti azzurri» nella celebre poesia Le ricordanze.
Vale poi la pena addentrarsi fino all’antico villaggio Foce di Montemonaco, a quasi mille metri di altitudine, uno dei punti di partenza per le escursioni verso la cima del Vettore.
La Piana della Gardosa, una vasta vallata che scendendo dal monte termina nel piccolo centro abitato, d’inverno si presta come percorso per lo sci di fondo e le ciaspolate, lungo un sentiero inizialmente non impegnativo, adatto anche ai neofiti, ma che poi si fa erto e riservato solo ai più esperti. Si tratta di una valle glaciale, che presenta al culmine il lago di Pilato, unico naturale delle Marche, formato dallo sbarramento prodotto dai resti di una morena e circondato da un arcipelago di creste in gran parte aguzze e verticali.
Questo luogo magico, secondo la leggenda, avrebbe preso il nome da Ponzio Pilato: nelle acque, infatti, sarebbe finito il corpo del governatore romano giustiziato da Tito Vespasiano per non aver impedito la crocifissione di Gesù.
Ma ricca di mistero e di miti è tutta la zona. Come la grotta della Sibilla, da cui l’omonimo monte e la denominazione dell’intera catena, punto di ingresso di un mondo sotterraneo paradisiaco, regno fatato della Sibilla Appenninica, maga e incantatrice.
Una mattinata di fatica sulla neve non può non concludersi nel tepore di una taverna, tra funghi e tartufi, capriolo e cinghiale, seguiti dall’immancabile e digestivo liquore alla genziana.
A pochi chilometri si trova il paese di Montemonaco con la sua rocca, eretta per la prima volta nel X secolo, posta in un punto da cui gli armigeri potevano controllare un’ampia porzione di territorio. Da qui si può godere di un paesaggio mozzafiato, spaziando con lo sguardo dai monti della Laga e dal massiccio del Gran Sasso a sud, fino alle province di Fermo e Macerata a nord. In questo borgo dai profumi e dai sapori forti è impossibile resistere alla tentazione di qualche acquisto che ne possa ravvivare la memoria una volta rientrati a casa. Scendendo lungo la valle del fiume Aso ecco il lago di Gerosa, frutto della costruzione di una diga artificiale, le cui acque hanno tinte di sapore alpino.
Sulle sue sponde sorge la stupenda chiesa di San Giorgio all’Isola, gioiello il cui impianto originale risale a un periodo che va dal IX al X secolo.
Dal passo di Croce di Casale si raggiunge Propezzano, che offre una splendida vista del monte Vettore e della valle del Fluvione: se è l’ora del tramonto, si vede il sole nascondersi dietro le cime e lanciare le sue ultime lame di luce sull’abitato di Montegallo. Dopo aver visitato questi luoghi con la neve, difficilmente si resiste alla tentazione di tornarvi d’estate, quando si possono percorrere mille sentieri, dai più semplici ai più impegnativi, tra boschi, prati e creste rocciose, su un terreno di vera montagna.
Articolo tratto da La Freccia dicembre 2023
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