In apertura il centro storico di Orvieto (TR) © Stroujko/AdobeStock

Ho appuntamento nella città vecchia di Orvieto, l’urbs vetus da cui deriva il nome del borgo medievale in provincia di Terni, per una colazione con Riccardo Cotarella, enologo che tutto il mondo del vino ci invidia. Lo vedo seduto al tavolo di un bar nei pressi del Duomo, simbolo della località e una delle più belle cattedrali d’Italia e del mondo. Magnifica costruzione, che accorpa diversi stili architettonici, è un mirabile e poetico esempio di equilibri e commistioni tra gotico e romanico. Affascinato da tanta bellezza, mi incanto a guardarlo e, a un certo punto, mi sento chiamare.

Il signor Riccardo è già seduto e non ha ancora ordinato nulla, proprio un uomo d’altri tempi. Mi siedo accanto a lui e iniziamo a ordinare. Per lui un caffè, per me cappuccino e cornetto. Nell’attesa che ci portino la consumazione richiesta si palesa una ragazza, dà un bacio sulla fronte a Riccardo e si siede insieme a noi. «Piacere, Dominga, papà parla benissimo di te ma io guardo poco la tv». La sua sincerità mi fa sorridere. «So che sei appassionato di cibo, vieni con me, ti devo far assaggiare una cosa», continua. Poi si alza, mi prende per mano, saluta il padre e sparisce con me tra i vicoli della città.

 

Non ho avuto neanche il tempo di parlare, ho solo incrociato lo sguardo sorridente e rassegnato di Riccardo. Dominga è davanti a me, siamo in salita: «Dai, Peppone, muoviti, forza!». La sua chioma di capelli biondi si agita disordinatamente e io rimango indietro di almeno trenta passi a chiedermi perché un incontro così movimentato sia capitato proprio a me, che sono venuto a Orvieto in cerca di una “città slow”.

Passiamo davanti al pozzo di San Patrizio e Dominga, continuando a camminare, mi racconta che l’accesso a questo capolavoro di ingegneria voluto da papa Clemente VII è garantito da due rampe elicoidali a senso unico. Due percorsi completamente autonomi e serviti da due diverse porte che consentivano di trasportare con i muli l’acqua estratta senza incorrere in ostacoli: «Insomma, chi scende non incontra mai chi sale, e ora muoviti!», chiosa.

Cotarella junior sembra non accusare la stanchezza. Finalmente rallenta e si ferma davanti a un forno, entriamo e ordina una cinquantina di lumachelle orvietane, rustici salati a forma di chiocciola dal colore ambrato e dalla consistenza fragrante. Provo a dirle che mi sembrano davvero troppe, ma vengo tempestivamente interrotto: «Fai fare a me, fìdati!». Nate come “cibo da tasca” per i contadini che lavoravano nei campi, hanno un impasto simile a quello del pane insaporito da pecorino e prosciutto o dagli ingredienti messi a disposizione dalla stagione. Ci sediamo su un muretto e iniziamo a mangiarle, una tira l’altra e spero non finiscano mai.

Il pozzo di San Patrizio a Orvieto (TR)

Il pozzo di San Patrizio a Orvieto (TR) © Claudio/AdobeStock

Dominga mi guarda soddisfatta e dice: «Ecco, io vorrei che tutti potessero conoscere le lumachelle. Mi piacerebbe che nei ristoranti ci fosse personale in grado di spiegare quanto è importante non tradire le tradizioni, capaci di trattare i clienti con il garbo che contraddistingue lo stile del territorio». Penso tra me e me che, anche se non guarda la televisione, è in perfetta linea con quello che dico sempre nella trasmissione Linea verde. Ha un’energia coinvolgente, sorride al mondo grata di poter fare quello che le piace.

Le chiedo che bambina era e mi risponde: «La mia è un po’ come la storia del brutto anatroccolo. Da piccola ero timida e alle elementari mi dissero che non avrei superato le medie. Ma io dentro di me sapevo che sarebbe arrivato il mio momento e, prima o poi, la trasformazione in cigno sarebbe avvenuta. In terzo liceo i sei in pagella si sono trasformati in dieci e, nel 2015, insieme alle mie sorelle abbiamo capito che, lavorando con tenacia e passione, avremmo potuto lasciare un segno. Ogni giorno dico ai miei figli e a tutti i giovani che ho la fortuna di incontrare di non essere superficiali. Al di là dei talenti con i quali ognuno di noi nasce, occorre andare in profondità, senza trascurare i dettagli. Studiare, applicarsi e puntare in alto».

Le chiedo delle sorelle e mi risponde che in realtà sono cugine, figlie del fratello del padre. E continua: «La nostra famiglia, originaria di Orvieto, nasce dal mondo del vino. Quando abbiamo iniziato a pensare al passaggio generazionale, con Marta ed Enrica abbiamo sentito l’esigenza di metterci alla prova come imprenditrici e di allargare il nostro mondo al di fuori dell’enologia e della viticoltura in senso stretto, pur rimanendo legate a questo ambito».

Marta, Dominga ed Enrica Cotarella

Marta, Dominga ed Enrica Cotarella © rbdesign + Roberto Befani designer

All’epoca, Dominga si occupava principalmente del settore commerciale e aveva l’opportunità di parlare quotidianamente con maître e sommelier: «Lamentavano una grave carenza di professionalità nel servizio di sala, percepito come un lavoro di passaggio o che comunque non richiedeva particolari competenze. Così, interpretando questo bisogno, nel 2017 abbiamo dato vita all’Accademia di alta formazione di sala Intrecci, a Castiglione in Teverina, in provincia di Viterbo».

La scuola ha l’obiettivo di formare personale qualificato per l’accoglienza, la ristorazione e l’ospitalità. «Le tre c nascoste nel nome (in-tre-cci, ndr) si riferiscono a noi, le tre Cotarella, ma anche alle tre parole chiave alla base del progetto: coraggio, cultura e curiosità. Per arrivare poi a quelle di classe, carattere e calore, tratti distintivi dell’ospitalità ideale. Quando abbiamo comunicato l’intenzione di creare quest’accademia, in pochi ci hanno creduto e sostenuto. Oggi, invece, Intrecci è riconosciuta come un’accademia di valore unico, sinonimo di alta formazione di sala», prosegue.

Un sogno che si è realizzato con tanto lavoro, coerenza e perseveranza. «Abbiamo scelto di avere solo 25 ragazzi per ogni anno accademico, in modo da poter seguire ogni studente in modo sartoriale. Il percorso si articola in due fasi: sei mesi di lezione con formula residenziale, nel nostro campus, con attività teoriche, pratiche, laboratori in esterna e viaggi didattici. Poi, a seguire, sei mesi di stage nei migliori ristoranti e hotel italiani e stranieri».

L’Accademia di alta formazione di sala Intrecci, a Castiglione in Teverina (VT)

L’Accademia di alta formazione di sala Intrecci, a Castiglione in Teverina (VT)

E aggiunge: «La scuola è stata realizzata nella struttura che un tempo ospitava l’oleificio del paese. Inizialmente avevamo pensato di crearla all’interno di un nostro casale, ma quando siamo venute a conoscenza della disponibilità di questo edificio, in gestione al Comune di Castiglione in Teverina, ci siamo affrettate a effettuare il sopralluogo. Abbiamo capito a prima vista che era la sede ideale, accogliente e spaziosa. In questo luogo magico la nostra famiglia ha mosso i suoi primi passi nel mondo del vino e poi nella formazione».

È nato così un progetto dedicato esclusivamente al personale di sala e agli addetti all’accoglienza con la formula del campus: gli studenti hanno a disposizione alloggi, mensa, spazi ricreativi e di studio forniti di attrezzature didattiche digitali e tradizionali. «Vengono insegnate materie come viticoltura ed enologia, fondamentali per proporre al meglio quello che viene servito. Si insiste sull’importanza di una dizione corretta e sull’attenzione ai minimi dettagli della tavola, dalla conoscenza approfondita di prodotti e lavorazioni, alla spiegazione di ogni singolo ingrediente che viene servito in un piatto. Inoltre, si insegnano teatro, galateo, tecniche del suono e illuminazione degli ambienti, soft skill, psicologia del cliente».

L’obiettivo, conclude Dominga, «è formare futuri manager della ristorazione, maître e personale di sala che sappiano contribuire a rendere l’esperienza dell’ospite completa e indimenticabile. Il nostro scopo è potenziare le loro capacità e valorizzare i loro talenti». Nel frattempo, le lumachelle sono finite. Mi sento stordito ma si tratta di una confusione positiva, vivace, fresca. Sono persuaso dalla visione ben precisa di chi sa che per avere buoni risultati bisogna formarsi e perseverare.

Articolo tratto da La Freccia