In cover Piazza Mario Pagano, Potenza © eddygaleotti/Adobestock

Potenza mia, sono sempre cresciuto in tua difesa, ovunque andassi. Sei come una bella donna anziana con qualche cicatrice sul corpo. Affascinante e saggia. Con orgoglio continuo a invitare amici e colleghi a venire a viverti, a visitare il cuore della città e a far capire la vera essenza del lucano. Torno sempre qui dopo le mie trasferte in giro per l’Italia a raccontare le bellezze dei borghi e l’autenticità di chi li presidia costantemente, a difesa della tradizione. Torno sempre a lavorare come oste nel mio ristorante e sempre vado a marcare il territorio nella piazza centrale della mia amata città, restaurata su progetto dell’architetta Gae Aulenti.

Non vedo molto bene da lontano, anche se porto gli occhiali, ma mi è chiaro che una ragazza con un cappotto rosso mi stia salutando. Mi parla, mi chiama, ma non sento nulla da così lontano e, in realtà, non ho ancora capito bene di chi si tratta. Incuriosito, mi avvicino: «Ciao Anna Chiara! Come stai? Finalmente ti ho riconosciuta!».

Lei mi sorride e mi confessa che da tanto tempo voleva chiamarmi per parlare della sua nuova avventura con la Taverna Centomani. In realtà, io ne avevo sentito parlare e colgo la palla al balzo: «Ti confesso che, con una così bella giornata di sole, ho proprio voglia di campagna. Perché non andiamo ora alla Taverna?». Lei accetta entusiasta e così ci dirigiamo a mangiare lì. Chi vive a Potenza sa bene che il tempo qui può essere non proprio clemente, anche in primavera. Ma oggi si può pranzare anche all’aperto.

Vicoli nel centro di Potenza

Vicoli nel centro di Potenza © Rick Henzel/Adobestock

Arriviamo in Contrada Centomani e immediatamente vengo pervaso dai profumi di lavanda. Poco più in là, invece, vengo rapito dalla fioritura maestosa delle ginestre. Sapevo che Anna Chiara Affinito aveva studiato a Bologna e, dopo la laurea, stava lavorando nel capoluogo felsineo. Incuriosito le chiedo da quanto tempo fosse tornata a vivere a Potenza, cosa l’avesse spinta a farlo e soprattutto se anche Pino, il marito, fosse stato d’accordo su quella scelta.

Lei subito mi ferma: «Ammetto che non è stato semplice, ma dopo averci pensato e ripensato abbiamo deciso di tornare nella nostra terra. L’esperienza a Bologna è stata fondamentale ma a un certo punto ci siamo chiesti se avremmo voluto vivere lì tutta la vita. Così, ci siamo trasferiti a Potenza mentre mia madre aveva già cominciato il progetto di ristrutturazione di questa azienda di famiglia, con un primo intervento sulle stalle e poi nell’ex ovile, diventato il luogo destinato alle camere».

Incalzo: «Ma voi di cosa vi occupate alla Taverna?». Anna Chiara è determinata e con sguardo dritto risponde: «Siamo da sempre appassionati di formaggi e yogurt e proprio questo ci ha spinto a tornare e a inserirci in azienda. Abbiamo pensato di usare il latte delle nostre bovine per fare prodotti che qui in regione erano poco diffusi. Dopo poco siamo stati coinvolti in un progetto ambizioso e ben più ampio: il latte nobile».

La Taverna Centomani

La Taverna Centomani © Luca Lancieri

Conosco molto bene il progetto e quel visionario del suo ideatore, il mio grande amico Roberto Rubino, presidente dell’Associazione nazionale formaggi sotto il cielo. Il latte nobile è quello di una volta: stagionale, leggero e molto naturale. Esiste un preciso disciplinare di alimentazione per gli animali che prevede una razione con minimo 70% di fieno e massimo 30% di mangime, la totale assenza di insilati e il divieto di utilizzare organismi geneticamente modificati.

«Badiamo molto al benessere dei nostri animali e riteniamo che esista un giusto equilibrio tra ciò che chiediamo alla natura e ciò che siamo in grado di ottenere in cambio. Le nostre pezzate ci regalano un latte profumatissimo con un giusto rapporto tra omega 3 e omega 6 a favore dei primi. L’alimentazione delle vacche viene tutta prodotta in azienda», continua Anna Chiara. «È un latte ricco di grassi buoni, molto più digeribile e tollerante. Secondo alcuni studiosi, addirittura, tutte le intolleranze attuali provengono dalle tante modifiche apportate agli alimenti che, in origine, non causano intolleranze. Ma questo è un argomento lungo», spiega sorridendo. Mi rendo conto che ama parlare del suo lavoro, si vede che segue tutte le fasi della produzione, è attenta e orgogliosa.

La mia curiosità aumenta e anche la fame: non vedo l’ora di sapere chi lavora il latte e chi si nasconde, con il suo sapiente lavoro, dietro questi prodotti. «All’inizio eravamo solo io e mio marito Pino, oggi ci avvaliamo di due collaboratori. È un lavoro duro e si inizia molto presto: le vacche vengono munte la mattina alle 5 e il pomeriggio alle 17. Come prima cosa si prende la quantità che serve per produrre latte intero pastorizzato. Siamo talmente maniacali che separiamo dal resto la mungitura della mattina per offrire ai consumatori un latte munto solo due ore prima: non fresco, freschissimo. Inoltre, il nostro è latte non omogeneizzato, crediamo che non debba essere modificato perché ogni cambiamento ne altera le caratteristiche e siamo contrari alle modifiche inutili».

Anna Chiara Affinito

Anna Chiara Affinito © Luca Lancieri

Sono totalmente rapito dall’energia positiva del racconto e chiedo un bicchiere di latte per capire la differenza con quello che normalmente bevo a casa. Poi da lontano sento della musica classica: proviene dalle stalle, sono estremamente curioso e subito chiedo spiegazioni. Anna Chiara mi sorride: «Sì, le nostre mucche ascoltano regolarmente musica classica durante la mungitura». Allora capisco tutto. Qui c’è poesia, amore per il territorio e consapevolezza che per fare un grande prodotto bisogna attenersi a regole precise: benessere dell’animale e alimentazione naturale.

Assaggio il latte e davvero non è il solito prodotto di alta qualità, diciamo che la loro direzione è totalmente opposta, i parametri che prendono in considerazione non riguardano la quantità di grassi, proteine o caseina. Qui le mucche producono circa 17 o18 litri di latte a fronte dei 40 o 50 degli allevamenti intensivi: indubbiamente è una cosa diversa.

A questo punto si è fatto veramente tardi. Ma devo per forza chiederle informazioni riguardo a una notizia: a gennaio, la Taverna Centomani ha ottenuto il primo posto per lo yogurt migliore d’Italia nella classifica stilata da Gambero Rosso. Le si illuminano gli occhi, si vede che c’è stato tanto lavoro e sacrificio, ma evidentemente ne è valsa la pena.

«Il premio ci riempie di orgoglio non solo per il lavoro svolto ma anche perché rappresentiamo una terra che amiamo e che ci ha ripagato di una scelta fatta con consapevolezza». E poi aggiunge: «Non vogliamo dimenticarci di quello che siamo, perdere di vista l’obiettivo iniziale, la filosofia del posto e i punti cardine su cui si basa l’azienda, ecosostenibilità, basso impatto ambientale, attenzione agli sprechi. Mai innamorarsi dei grandi numeri se stravolgono i principi». Torno a casa contento. Ora so che si può restare a vivere nei nostri borghi e non sempre è necessario partire per avere una vita felice.

Articolo tratto da La Freccia

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