In cover, la coltivazione dell'erba tornabuona a Cospaia (PG) © Paolo Tosti

Giro spesso per le campagne tra Toscana e Umbria. Ho studiato a Siena e, nelle mie gite fuori porta, ho avuto modo di apprezzare quanto la natura sia stata generosa con questi territori. Percorro una stradina di campagna tra Sansepolcro (AR) e l’antico borgo di Cospaia, una frazione del comune di San Giustino, in provincia di Perugia. Passo davanti alla chiesa parrocchiale della confraternita e poi davanti alla torre.

Mi colpisce una signora affacciata alla finestra che prima mi ignora e poi, rientrata in casa, si affaccia e mi guarda. La saluto, ricambia e mi dice: «Benvenuto a Cospaia, siamo piccini ma tanto ricchi di storia». Sono nella culla del Rinascimento e di tanto in tanto mi fermo a contemplare scorci meravigliosi. Non stupisce, infatti, che Piero della Francesca sia nato proprio in questa zona e non altrove.

 

Non distante da Cospaia intravedo un uomo, anche lui a passeggio: espressione assorta, passo lento, fuma un sigaro. Capisco che anche lui, come me, sta godendo della bellezza di questi luoghi e sembra esplorarli con la mente. Disturbo o tiro avanti? La mia natura non me lo permette. Non posso esimermi dal fare la sua conoscenza, mi ha incuriosito: «Buongiorno, cosa fa da queste parti solo solo?», chiedo.

Come immaginavo, mi risponde che è alla ricerca di ispirazione e sta contemplandola storia di quei luoghi che, a suo dire, riluce in ogni arbusto. Non è infastidito dalla mia presenza, anzi, è sorridente e sembra una brava persona. Continua: «Sono un viandante, affezionato alla Repubblica di Cospaia. I suoi abitanti, liberi e anarchici, vivevano senza carceri né moneta e la Repubblica si reggeva sulle loro spalle e sul loro lavoro».

Lavoratrici di sigari © Matteo Tacconi

Avevo sentito parlare di questa storia ma come una sorta di leggenda e ora sono proprio curioso e voglio saperne di più. Il mio nuovo amico mi spiega che quella singolare Repubblica aveva un’unica norma scritta – perpetuaet firma libertas – ed era nata per caso nel Quattrocento, dopo un singolare errore cartografico avvenuto quando si dovettero delimitare i confini tra lo Stato pontificio e la Repubblica di Firenze. Trecento ettari rimasero terra di nessuno e gli abitanti si proclamarono indipendenti.

Mentre mi racconta di come l’economia della Repubblica si reggesse sul contrabbando, prima del sale di Cervia prima e poi di tabacco, la mia curiosità ha la meglio e lo interrompo: «Scusami, però, io mi sono fatto ammaliare dai tuoi racconti ma non mi hai ancora detto come ti chiami. Sarebbe carino saperlo. Io sono Giuseppe ma mi chiamano tutti Peppone».

La lavorazione dei sigari Tornabuoni © K3NSY

Mi guarda, sorride e non favella. Insisto: «Voglio conoscere il nome di questo viandante così appassionato, è possibile?». E a quel punto mi risponde: «Mi chiamo Gabriele Zippilli e sono un agronomo abruzzese. Sono nato ad Ascoli ma ho studiato in Umbria. Mi sono innamorato di questo territorio da giovane e, appena ho potuto, ho creato qui in Toscana la mia azienda agricola. I nostri prodotti sono dedicati a Niccolò Tornabuoni, il cardinale mediceo che seguì Caterina de' Medici alla corte di Francia quando andò in sposa a Enrico II. Lo stesso nome, erba tornabuona, venne poi dato al tabacco».

Gli chiedo, quindi, se si tratti di un’azienda che produce sigari. «Sì, ma è più di questo. Mentre lavoravo da queste parti, sono entrato in contatto con i vecchi coltivatori. Inebriato dal vin santo, dai sigari e dai loro racconti, ho compreso quanto importante e ricca fosse la tradizione della coltivazione del tabacco. Ma anche quanto fosse a rischio. Mi narrarono la loro vita, la storia del tabacco nero della Valtiberina. E mi spiegarono che questo territorio è così fertile grazie al Tevere e alle particolari condizioni ambientali. E poi quei ricchi boschi laggiù, li vedi? Donano legno pregiato, perfetto per l’affumicatura del tabacco. La mia azienda non si limita a produrre sigari: curiamo ogni fase, sin dal seme, seguendo gli antichi dettami della tradizione, gli stessi che mi sono stati tramandati oralmente e che vogliamo custodire».

Sigari Tornabuoni © Marcella Marone Pittalunga

Mi sembra di parlare con un produttore di vino, ha la stessa passione e dedizione, così gli esterno la mia impressione. Gabriele sorride e risponde che non ci sono andato molto lontano. «Siamo stati i primi a creare sigari che definiamo Grand Cru e altri che chiamiamo Grand Cuvée. Hanno questi nomi proprio perché sono progettati seguendo una filosofia simile a quella enologica. Abbiamo anche prodotto il primo sigaro italiano con tabacco da agricoltura biologica anche se, comunque, tutti i Tornabuoni sono privi di additivi e aromi aggiunti. Sono realizzati senza compromessi, fatti per consumatori esigenti e consapevoli. Persino le macchine adoperate per alcuni di questi sigari, che ci consentono di non utilizzare mai tabacco congelato, hanno una storia lunga alle spalle…».

Si è fatto tardi, comprendo che la storia gloriosa della Valtiberina vive ancora nell’anima del tessuto imprenditoriale di questo territorio, in chi lo abita e anche in chi si trova a percorrerne i sentieri. Col cuore leggero saluto il mio nuovo amico, convinto sempre di più che ogni incontro sia un momento di crescita. Mi volto, ma Gabriele è assorto nei suoi pensieri. Lo saluto sottovoce, non si gira e io riprendo la mia strada.

Articolo tratto da La Freccia