In cover, un tratto della pista ciclabile sul Naviglio Pavese © Alexandre Rotenberg/Adobestock
Sono a Milano per una fiera ma oggi davvero non mi va di tuffarmi in quella calca. Ho bisogno di stare all’aria aperta, prendere una bici e pedalare a contatto con la natura. Chiedo alla ragazza che lavora alla reception di consigliarmi un tragitto da fare e lei mi risponde che il sabato precedente era arrivata a Pavia in bici. Le chiedo quanti chilometri fossero e a sorpresa scopro che c’è una ciclabile, con pendenze abbordabili e circa 30 km a dividere le due città.
Mi metto in sella e parto. Una passeggiata davvero piacevole, la può fare anche uno come me che non vanta un fisico palestrato. Si parte da Porta Ticinese, a Milano, alla fine della Darsena, antico porto fluviale, e si costeggia per tutto il suo percorso il Naviglio Pavese. La pedalata prosegue con scioltezza, c’è anche una leggera pendenza in discesa che mi preoccupa un poco pensando al ritorno (al massimo prendo il treno, penso, tanto si possono portare le bici), ma la quiete del naviglio che mi accompagna e i colori della natura mi donano grande gioia interiore.
Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia © il_bruno/Adobestock
Arrivo a Torre del Mangano (PV) e qui faccio una breve deviazione in direzione della Certosa di Pavia, considerata uno dei massimi monumenti del nostro Paese. Il mio viaggio continua e finalmente sono in città. A Pavia ogni luogo è un racconto. Passo davanti a una chiesa romanica, San Pietro in Ciel d’Oro, che accoglie le spoglie di Sant’Agostino e ha visto l’incoronazione di Federico Barbarossa a re d’Italia. Memoria e tradizione, però, non hanno intrappolato la città: passeggiando tra i loggiati e il cortile delle Magnolie dell’Università, tra le più antiche della Penisola, si percepisce un bel connubio tra storia, scienza e avanguardia.
La stanchezza si fa sentire, mi devo fermare. Mi siedo in un bar e ordino un cappuccino e un San Sirino, dolcetto di pan di Spagna dalla forma tonda, ricoperto di cioccolato fondente. Il sapore del cacao è molto intenso ma l’unione con il delicato profumo di rum regala una bella armonia al palato. Sedute a fianco a me ci sono due ragazze: una mi sembra di conoscerla, anzi ne sono sicuro. L’ho vista nella trasmissione tv Notti europee, si chiama Danielle Madam, è africana ed è una campionessa sportiva ma non mi ricordo di cosa.
Università degli Studi di Pavia © WALTER MAPELLI/Adobestock
Subito la ringrazio per avermi fatto compagnia nelle notti magiche di Euro 2020 e le chiedo se fosse di Pavia. La risposta è coinvolgente: «Sì, abito qui da sempre praticamente. Prima vivevo in provincia, poi a 11 anni mi sono spostata in città». Le chiedo come si trova e lei comincia a raccontare: «I primi anni non sono stati per niente facili. Venivo da una situazione familiare molto complicata e per questo, tramite il Tribunale per i minorenni di Milano, sono stata spostata in una casa famiglia gestita da suore. Ero molto irrequieta, non avevo punti di riferimento. Nella struttura le educatrici cambiavano spesso, così appena riuscivo ad aprirmi con una di loro questa doveva già andare via. Per me era un continuo ricominciare da capo, una ricerca perenne di me stessa. Qualche tempo dopo ho scoperto l’atletica leggera, o per meglio dire lei ha scoperto me».
Sono curioso di sapere il modo in cui si è avvicinata allo sport, la guardo intensamente, ha occhi profondi e sinceri. «Come di consueto ero seduta fuori dalla classe, molto probabilmente in punizione. Il professore di ginnastica, vedendomi lì, mi ha invitata a lanciare il peso. È stato amore a prima vista. Non ho mai più smesso». Anch’io a scuola facevo il lancio del peso, sono stato campione provinciale ma poi mi sono fermato. «Tu sei brava brava?», le chiedo.
«Così sembra», sorride. «Da quando ero una ragazzina ribelle ho vinto cinque titoli di campionessa italiana nel lancio del peso. Ne ho fatta di strada. L’atletica mi ha mostrato la via giusta. Perché ho iniziato ad applicare nella vita tutti i valori che lo sport mi insegnava: dedizione, impegno, sacrificio. Così, sono migliorati anche i miei risultati a scuola. Tutto doveva andar di pari passo, il mio profitto era diventato importante quanto una gara di alto livello».
Si percepisce che ha tanto da raccontare, lo sento, vuole parlare, ha il cuore scalzo. Le chiedo quale sia il suo sogno e lei cambia tono, diventa seria e determinata: «È quello di vestire la maglia azzurra e rappresentare la nazionale italiana. Fino a poco tempo fa non potevo realizzarlo perché, nonostante avessi passato la maggior parte della mia vita qui, non ero riconosciuta come italiana. Dopo una lunga battaglia, finalmente il 30 aprile 2021 sono diventata ufficialmente cittadina italiana. Non dimenticherò mai l’emozione della chiamata del prefetto, il giuramento e poi quando l’ho annunciato a mia madre». È felice e continua: «Ora ho tutte le carte in regola per realizzare il mio sogno, l’estate prossima ci saranno i mondiali di atletica leggera e voglio esserci».
Quando ha parlato della madre, il suo viso è diventato immediatamente dolce. Le chiedo allora dove fosse: «Mia mamma vive in Camerun. Tanti anni fa, per salvare me e mio fratello da una situazione di pericolo, ha deciso di separarsi da noi e affidarci alle cure di uno zio che viveva in Italia. Lei è il mio esempio, le devo tanto. Sto partendo proprio ora per andarle a fare una sorpresa, sono due anni che non la vedo: sarà un’emozione fortissima». Ci abbracciamo forte, la ringrazio e le auguro un buon viaggio.
Articolo tratto da La Freccia