In cover, la galleria del vento del Politecnico di Milano © Castelli

Fausto Coppi, Gino Bartali, Eddy Merckx, Francesco Moser, Giuseppe Saronni e Miguel Indurain. Leggende del ciclismo e acerrimi rivali che si sono dati battaglia sulle strade delle più importanti gare mondiali. Da oltre un secolo un elemento fondamentale – e in alcuni casi un’icona – unisce questi atleti: la loro maglia. Un successo del brand Castelli, che negli anni si è specializzato in abbigliamento da ciclismo e triathlon e oggi è conosciuto e apprezzato per i suoi risultati.

 

L’azienda ha origine dal lavoro del sarto Gianni Vittore. Nella sua bottega, aperta nel 1876 nel capoluogo meneghino, vengono confezionati a mano i vestiti per i giocatori del Milan e della Juventus, per il corpo di ballo milanese e, nel 1910, per Alfredo Binda, vincitore di cinque Giri d’Italia. Nel 1935 Armando Castelli si unisce allo staff di Gianni, rilevandone l’attività quattro anni dopo e mantenendone la clientela elitaria, fino a raggiungere le stelle Coppi e Bartali.

 

Inizia così una storia tutta made in Italy che ha portato il marchio Castelli in tutto il mondo, prima con il figlio di Armando, Maurizio Castelli, e poi con Giordano Cremonese che acquisì l’azienda nel 2003. L’impresa oggi ha sede a Fonzaso, in provincia di Belluno, tra le montagne vicino alle salite percorse dal Giro d’Italia.

 

Il marchio fa parte, insieme a Sportful e Karpos, del Gruppo Manifattura Valcismon, fondato da Olindo e Irma Cremonese nel 1946. Una realtà industriale che dà lavoro a circa 200 persone in Italia, con filiali in Germania, Spagna, Canada, Stati Uniti, Giappone, Cina e una rete di vendita che raggiunge 70 Paesi.

Il colletto Maglia rosa con l’ultimo verso del Purgatorio di Dante © Manifattura Valcismon SpA

Quest’anno l’azienda veneta ha firmato la Maglia rosa per il 104esimo Giro d’Italia. L’iconico indumento, che compie 90 anni, è stato introdotto nel 1931 da Armando Cougnet, giornalista della Gazzetta dello Sport, per caratterizzare il leader della classifica. L’obiettivo era individuare un simbolo che rendesse visibile il corridore al comando, per dare modo agli spettatori di distinguerlo da tutti gli altri.

 

A guidarci nella storia di questo capo è Steve Smith, brand manager di Castelli e socio del Gruppo Manifattura Valcismon, arrivato in Italia dagli Usa nel 2000, a 32 anni, dopo dieci passati alla Nike. «Ho seguito un sogno, figlio della mia passione per la bicicletta e per questo Paese». Già da adolescente si era innamorato del marchio, al punto da lavorare tre settimane in un magazzino oltreoceano per acquistare la sua prima maglia Castelli, quella indossata dal suo idolo, il ciclista statunitense Greg LeMond.

Cosa vuol dire per un’azienda realizzare la Maglia rosa?

È un motivo di orgoglio che ci riempie di gioia. Non è solo un indumento, ma un oggetto che rappresenta l’obiettivo finale per chi è in gara. Inoltre, ci dà la possibilità di conferire il giusto lustro a un’azienda italiana, sinonimo di eccellenza nel mondo dell’abbigliamento per il ciclismo. La nostra passione ci ha portato a creare la Maglia rosa per 12 anni, dal 1981 al ‘92, e dal 2017 siamo di nuovo partner del Giro.

 

Che caratteristiche deve avere questo capo?

È necessario abbinare aspetti come leggerezza e aerodinamica, senza compromettere il comfort, l’accessibilità alle tasche, la facilità di aprire e chiudere la zip. La parte anteriore è più aerodinamica, mentre la schiena è più traspirante.

 

E per quanto riguarda il tessuto e la grafica?

La nuova Maglia rosa è stata sviluppata nella galleria del vento per assicurarne l’aerodinamicità, mantenendo comunque una buona traspirabilità. È un indumento green, realizzato con filati riciclati al 100% in modo da ridurre l’impatto ambientale. Per la parte grafica ci siamo inspirati al Trofeo senza fine, la coppa assegnata al vincitore: nella maglia ci sono i nomi di tutti i vincitori della corsa. Un elemento per ricordare a chi la indossa che sta per entrare nella storia del ciclismo.

Sonia Vignati, modellista e responsabile di prodotto per Castelli, con il ciclista Filippo Ganna © Castelli

Nell’anno in cui si celebra Dante non poteva mancare un richiamo alla Divina Commedia...

Abbiamo impresso sul colletto l’ultimo verso del Purgatorio: «Disposto a salire a le stelle». La frase è stata scelta dai tifosi attraverso un concorso sui social, è il nostro omaggio per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta.

 

Come usate la galleria del vento?

La maglia viene testata con questo tipo di apparecchiatura in Norvegia, a Trondheim, dove facciamo ricerca di base, e poi al Politecnico di Milano per la verifica sugli atleti. Nel professionismo anche i minimi dettagli fanno la differenza: lo scorso anno al Giro, dopo aver percorso 3.300 chilometri, il britannico Tao Geoghegan Hart vinse con soli 39 secondi di distacco dal secondo classificato.

Quanto conta la maglia per il vantaggio finale?

Con un indumento avvolgente l’atleta risparmia energia, riuscendo così ad andare più veloce di due o tre chilometri all’ora. Con gli studi che abbiamo fatto negli ultimi due anni, Filippo Ganna (quattro volte campione del mondo di inseguimento, ndr) è riuscito ad abbassare il suo coefficiente di attrito aerodinamico del 10%.

 

Come siete passati dai prodotti in lana a quelli aerodinamici?

Grazie a Maurizio Castelli, un visionario con la passione per il ciclismo e il design. Negli anni ‘70 ebbe l’intuizione di usare la stampa a sublimazione, che permetteva di imprimere loghi e scrivere sulla maglia in poliestere, cosa che non si poteva fare sulla lana. È stato anche il primo imprenditore a commercializzare i pantaloncini in lycra, nel 1977: tutti i ciclisti iniziarono a comprarli, anche se all’inizio erano solo neri e in taglia unica. Poi, nel decennio successivo, iniziò ad applicare gli studi dell’aerodinamica alla realizzazione dei modelli.

 

Nel 2026 Castelli festeggerà 150 anni, come sarà la maglia del futuro?

Non credo che riusciremo a realizzarla nei prossimi cinque anni ma sarà aerodinamica, leggera, impermeabile, traspirante e soprattutto indistruttibile, per proteggere il ciclista dalle cadute. In più, ovviamente, ecosostenibile.

Il brand manager dell’azienda Castelli, Steve Smith © Castelli

Un ricordo delle maglie che hanno fatto la storia dell’azienda?

Sicuramente quelle realizzate per il Giro d’Italia. Ricordo la fuga del britannico Chris Froome sul Colle delle Finestre (TO) nel 2018, a oltre duemila metri di altezza, che lo portò a vincere il Giro. Ma anche quelle usate dalla nazionale italiana di ciclismo, quelle indossate alle Olimpiadi del 1996 ad Atlanta e del 2000 a Sydney, dove abbiamo vinto diverse medaglie. E poi le maglie di LeMond e del francese Bernard Hinault nel 1983 e di Francesco Moser negli anni ‘80.

 

Anche Alex Zanardi è un vostro cliente.

Sì, da quando ha iniziato a correre con l’handbike. È stato seguito personalmente da Sonia Vignati, la nostra modellista e responsabile di prodotto, diventata “sarta personale” di Alex. Lavora in azienda da 40 anni, ha iniziato a cucire le tasche sui pantaloncini di lana quando ne aveva 16 e da allora non si è più fermata.

Lei è nato negli Stati Uniti ma già da giovane era un appassionato del marchio Castelli e dell’Italia.

Forse il mio era un destino già scritto. A 16 anni, con tre settimane di lavoro in un magazzino, ho messo da parte i risparmi che mi servivano per comprare la mia prima maglia Castelli. Il gruppo sportivo con cui correvo usava le biciclette Basso Bikes e adesso vivo a 200 metri dalla casa del proprietario di questa ditta. Quando ho montato sul mio mezzo il cambio Campagnolo sulla scatola c’era scritto: brevettato a Vicenza. Insomma, tutto mi portava in Italia.

 

Come descriverebbe la Corsa rosa?

La gara più dura del mondo nel Paese più bello del mondo. La trovo ancora più affascinante del Tour de France perché è aperta, imprevedibile fino alla fine. Ogni giorno si può rivoluzionare la classifica.

 

Chi vincerà il Giro quest’anno?

Non è una domanda facile, provo a dire Egan Bernal, il colombiano che ha vinto il Tour de France due anni fa.

Articolo tratto da La Freccia