In cover Veduta del Lago Cecita, sulla Sila, in Calabria © alfonsodivi/AdobeStock

«Amo l’Italia armena, l’Italia antica, amo la Calabria, il paesaggio non confezionato, la faccia di chi cammina nel secolo sbagliato. Amo la Calabria a Palmi un po’ algerina, finlandese sulla Sila. Amo il mare che si getta nel treno, i pesci sull’asfalto, le case parcheggiate anche negli occhi dei gabbiani. Non conosco una terra più sensuale, un disordine più esemplare, una grazia più oltraggiata. Questa non è una regione, è un altare».

 

I versi sono di Franco Arminio, poeta, scrittore e paesologo di Bisaccia, Avellino, Irpinia d’Oriente. «Li ho scritti guardando la Calabria in treno da Palmi a Paola», dice Arminio, «i viaggi verso Reggio Calabria sono i più belli perché lì il mare si affaccia in treno». Arminio da anni viaggia e scrive, in cerca di meraviglia e in difesa dei piccoli paesi, è ispiratore e punto di riferimento di molte azioni contro lo spopolamento dell’Italia interna e ha ideato la Casa della Paesologia a Bisaccia.

Ascolta l'intervista e una poesia recitata da Franco Arminio nel podcast di Luca Mattei

Franco, molte tue poesie sono nate in treno. Non è solo un mezzo di trasporto, dunque, ma un laboratorio di idee?

Il treno è la mia seconda casa. È un pezzo di mondo che si muove, e mi permette di pensare. Penso più in treno che quando sono a casa. Quando viaggio mi trasformo in un ufficio. Scrivo le poesie con il cellulare, le condivido su Facebook. L’uomo non è un animale sedentario, ha sempre viaggiato. C’è una memoria ancestrale che fa sì che quando si viaggia l’uomo si senta a proprio agio.

 

È però cambiato il modo di viaggiare. Chini sugli smartphone, si guarda sempre meno fuori dal finestrino.

Oltre il vetro c’è un’Italia intera da ammirare. Anche io sono spesso chino sul cellulare, ma all’improvviso apro lo sguardo e mi faccio sorprendere dal paesaggio. Squarci di mondo esterno entrano nel treno, è una bella sensazione. Spesso non si guardano più neanche i volti degli altri, per una sorta di imbarazzo verso gli sconosciuti. Bisognerebbe inventare qualcosa per solleticare le forme di confidenza.

Con il tuo ultimo libro, La cura dello sguardo, stai percorrendo l’Italia da Nord a Sud. Hai tenuto incontri nei piccoli borghi, nelle piazze dei paesi, persino in montagna. La poesia, come recita il libro, è una farmacia?

Lo è sempre stata. Quando leggi dimentichi te stesso. Poesia è catarsi, come la visione di un film di paura. Nel libro ho raccolto testi che rappresentano un’apertura verso l’altro, anche per argomenti considerati intimi. Un modo per creare fratellanza fra una mia ferita e la ferita dell’altro. Una lettura consolante, e consolare gli afflitti è un bel compito. Ed è così anche per la ferrovia. Sarei felice se si fosse sempre molto attenti alle esigenze dei viaggiatori deboli.

 

Nelle stazioni, o nelle zone limitrofe, ci sono gli Help Center, sportelli di ascolto che orientano le persone in difficoltà verso i servizi sociali della città…

Sono una buona idea. La stazione deve essere un luogo caldo e caloroso, un luogo dove si intrecciano tante storie, anche un luogo di amori improvvisi.

Bisaccia (AV), città natale di Franco Arminio © Giambattista/AdobeStock

 

Improvvisi?

Io ho sempre gli occhi aperti in stazione, per aspettare le piccole epifanie sentimentali. Ti innamori per dieci secondi di un passante che sale sul treno, e pensi che non lo incontrerai mai più. Mi è successo da Roma a Livorno, molto tempo fa. È il mistero degli sconosciuti, ritrovarsi faccia a faccia per qualche minuto e poi mai più. Tutto ciò non può avvenire in un’automobile, perché non è un luogo della socialità.

 

Franco, ti autodefinisci paesologo. Ma cosa fa il paesologo?

Si occupa del paese, ma non del proprio e del passato come il paesanologo. Ha cura invece del presente e dell’avvenire del paese. E il mio lavoro nasce proprio da questa scommessa, che i paesi hanno un avvenire.

Il treno è da sempre sinonimo di sviluppo.

E spesso la ferrovia precede o deve precedere lo sviluppo, deve indicare una direzione. Io per esempio ho un’idea che potrebbe rappresentare un forte gesto politico-culturale non basato sul profitto. Creare una ferrovia appenninica che vada da Bologna a Reggio Calabria fermandosi nelle stazioni dei paesi di montagna: L’Aquila, Campobasso, Cosenza e i piccoli centri dell’Appennino.

 

E che aiuti a far crescere quella che definisci una «nuova geografia della bellezza»?

Sì. Una ferrovia che rappresenti l’umanesimo delle montagne, il ritorno degli italiani alle montagne. Sarebbe in perdita, ma lo Stato dovrebbe finanziarla per dare un grande segnale di vita in quei luoghi.

A Bisaccia, il tuo paese, che non hai mai lasciato, hai invece ideato la Casa della Paesologia. Che cos’è?

È una casa vera e propria, un’abitazione che ospita la comunità dei paesologi nei suoi momenti di ritrovo. I soci che aderiscono al progetto, iscrivendosi, hanno il diritto di venirci tutte le volte che vogliono, quando transitano a Bisaccia o quando hanno bisogno di uno spazio per riflettere, incontrarsi, sviluppare idee.

 

Sempre da Bisaccia hai fatto ripartire il baratto, fornendo sui social il tuo numero di cellulare e l’indirizzo di casa. Come funziona?

È la forma più antica di scambio. Le persone mandano al mio indirizzo un pacco con i prodotti del loro territorio come vino, marmellata, olio, e io ricambio con una copia di uno dei miei libri firmati.

Poi c’è la seconda formula, le poesie d’asporto, un nuovo modo per far circolare i versi…

Esatto. Chi vuole fare un regalo a un amico o al fidanzato mi contatta e riceve su WhatsApp un vocale con alcune delle mie poesie, che scelgo a seconda dell’occasione o della persona. Così la poesia arriva all’improvviso, in cambio di prodotti della terra. Oggi, per esempio, ho ricevuto una pagnotta.

 

Articolo tratto da La Freccia ottobre 2020