Può essere subdola, silenziosa, strisciante. O indossare una bella faccia e farsi strada nelle migliori famiglie. La violenza di genere si mimetizza, assume mille volti diversi. Smascherarla e contrastarla è dura anche quando si mostra a tutti. Le cronache sono piene di femminicidi e il più delle volte l’aguzzino era stato già denunciato. C’è poi chi, come le persone con disabilità, spesso non sa neppure riconoscere le violenze oppure, quando riesce a percepirle, non viene creduta. 

Da più di 30 anni Differenza Donna si spende per prevenire, far emergere e superare la violenza di genere: dal 1989 ha sostenuto 35mila donne e 60mila bambini attraverso i suoi centri e le case rifugio. Per questo FS Italiane ha scelto di destinare proprio a questa associazione la raccolta fondi 2020-2021, con l’obiettivo di finanziare una struttura di primo contatto e una per accogliere madri e bambini. Differenza Donna è anche la prima realtà in Italia ad aver sviluppato una strategia di intervento in grado di far emergere e affrontare le violenze subite dalle donne con disabilità

La sede di Differenza Donna a Roma

La sede di Differenza Donna a Roma

«Le questioni di genere, in questo contesto, non hanno trovato spazio nell’ambito dei movimenti per le pari opportunità e neppure tra le associazioni che difendono i diritti delle donne con disabilità», sostiene Rosalba Taddeini, responsabile dello Sportello sulle multiple discriminazioni e dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità, creati nel 2014 per colmare un vuoto operativo e culturale.

Una lacuna dimostrata anche dalla mancanza di dati recenti sul fenomeno. Nel 2001 il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio e l’Istat hanno stipulato una convenzione per realizzare un’indagine specifica sulla violenza contro le donne. Ma solo nel 2014 sono arrivati i primi dati disaggregati riguardanti quelle con disabilità. Nessun aggiornamento è stato realizzato da allora anche se la drammaticità dei numeri lo avrebbe richiesto: circa il 36,6% di loro ha subìto violenze fisiche o sessuali a fronte del 30% delle donne considerate normodotate. Il rischio di stupro è doppio, così come quello di stalking. Anche la violenza psicologica si verifica con più frequenza: facendo riferimento solo al partner, la subisce il 31,4% delle donne con disabilità contro il 25% delle altre. Nella maggior parte dei casi il maltrattante è un familiare o una persona che dovrebbe prendersi cura della donna con disabilità. Spesso quest’ultima, a causa di problemi mentali o fisici, non ha contezza di ciò che patisce o finisce per subirlo perché totalmente dipendente. 

Donna su una carrozzina

«Ci siamo accorte che le donne con disabilità non accedevano ai nostri centri antiviolenza. Quindi, insieme all’Università del Kent abbiamo realizzato una ricerca sui caregiver, cioè gli operatori socio-sanitari e gli assistenti sociali che dovrebbero indirizzare le assistite. Ne è emerso che questi erano a conoscenza dei maltrattamenti subiti ma non ritenevano i centri adeguati a livello strutturale. Dietro questa motivazione, però, c’erano in realtà diversi pregiudizi culturali», prosegue Taddeini.
Le donne con disabilità, infatti, vengono reputate inconsciamente inferiori rispetto alle normodotate e la violenza perpetrata nei loro confronti viene percepita come meno grave. «Resiste l’idea diffusa che queste persone siano bambole rotte, oggetti che non funzionano», spiega Rosalba. E tali stereotipi diventano ancora più pesanti quando riguardano la sfera intima e relazionale: «Vengono considerate donne asessuate, non idonee a vivere con un partner e a diventare madri. Un retroterra culturale che lede fortemente il loro diritto all’autodeterminazione e alla formazione di una famiglia. Ne consegue una totale assenza di educazione sessuale fino ad arrivare a un controllo repressivo in questo ambito, soprattutto per quanto riguarda la funzione riproduttiva». 

Partendo dall’abbattimento di tali convinzioni e puntando sull’empowerment, Differenza Donna ha dato vita a un modello d’azione. Innanzitutto, visto che molte donne con disabilità non arrivano ai centri antiviolenza, ha deciso di portare le operatrici direttamente da loro: «Ci spostiamo noi, su richiesta dei servizi sociali o delle interessate, e le incontriamo in luoghi a loro familiari, come le sedi delle associazioni che frequentano». La onlus ha avviato focus group aperti a tutte le donne con disabilità fisica, sensoriale, cognitiva e psichica con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza dei loro diritti, aiutarle a uscire dall’isolamento sociale e culturale, educarle alla sessualità e alle relazioni affettive, far emergere le violenze. Chi partecipa ai gruppi entra in contatto con persone che hanno vissuto esperienze simili. Le operatrici adottano un linguaggio semplice e comprensibile, spesso ricorrendo a immagini o alla descrizione di situazioni concrete. «Affrontiamo argomenti di cui non parlano con nessuno. Diamo alle partecipanti gli strumenti per interpretare ciò che vivono e intercettare eventuali campanelli di allarme. Analizzandole loro risposte, abbiamo registrato che il 97% è stata vittima di violenza di genere», riferisce Rosalba. 

Differenza Donna, inoltre, mette a disposizione una figura che segue le donne con disabilità durante i processi, sia nei casi di violenza sia nei procedimenti per l’affidamento dei figli. Può succedere, infatti, che non vengano ritenute credibili o in grado di occuparsi della famiglia. «Per valutare la genitorialità spesso vengono somministrati dei test che a loro non risultano molto comprensibili. Per questo capita che nelle consulenze tecniche venga riferita una mancata collaborazione da parte delle donne. In realtà, devono semplicemente essere messe in condizioni di capire e di esprimersi in modo adeguato. Gli strumenti utilizzati vanno adattati alle loro esigenze», continua Taddeini. L’associazione si impegna anche a formare il personale che fornisce i servizi destinati alle donne con disabilità che si trovano in situazioni difficili. Le competenze dei professionisti vengono sviluppate affinché trasformino le assistite da semplici fruitrici a protagoniste attive e consapevoli.

Il modello approntato da Differenza Donna è riconosciuto a livello internazionale: nel 2018 la onlus è stata invitata a parlarne in occasione della IV Conferenza mondiale dei Centri antiviolenza a Taiwan. A novembre 2020, Taddeini ha presentato le buone pratiche in materia di contrasto alle multiple discriminazioni all’European Inclusion Summit. Ma la soddisfazione più grande, per lei, rimangono «le ragazze dei focus group, impazienti davanti alla porta, che mi rimproverano anche per mezzo minuto di ritardo. E soprattutto le donne, con storie durissime alle spalle, che sono uscite dalla violenza e dall’isolamento, hanno trovato un lavoro e, finalmente, il loro riscatto».

Articolo tratto da La Freccia