La casa di Copaps © Clara Neri

È un giorno mite di inizio primavera, battuto da brezza odorosa di erba tagliata mista a zolle bagnate e rosmarino. Stretti tra la Porrettana e la ferrovia verso Bologna, si allungano a perdita d’occhio campi pianeggianti, arati, seminati, a riposo, striati di verde, ocra o marrone. Tutt’intorno un brulichio di vivacità operosa, nessuno sta fermo. «Vieni con me», dice una voce roca che arriva alle spalle, «ma stai attenta a non pestare gli asparagi, alcuni sono già spuntati».

 

Orazio è un omone con il cappellino da baseball in testa e il fare deciso, ma si svela subito portatore sano di gentilezza. Lo si nota dalle attenzioni che usa nei confronti delle fragole ordinate in lunghi filari o da come si inchina a terra. Al cospetto della terra, per spazzolarne via un po' e mostrare un asparagino appena nato.

 

Siamo al podere Ca’ del Bosco di Sasso Marconi (BO), sede della Copaps, cooperativa agricola e sociale nata nel 1979. «Oggi si definirebbe una start up innovativa», chiosa Lorenzo Sandri, agronomo e attuale presidente della cooperativa. È arrivato qui come obiettore di coscienza quasi 30 anni fa e non sen’è più andato.

 

«Siamo stati tra i primi, in Italia, a parlare di agricoltura sociale per avvicinare alla cultura della terra con dedizione persone disabili, notando che questa attività provoca in loro benessere e miglioramenti», prosegue. E abbinare agricoltura a educazione, lavoro e formazione a fragilità è stata una scommessa che nel tempo ha fatto germogliare un'esperienza e crescere tanti ragazzi.

Immagine di un uomo in ginocchio su un campo coltivato

Orazio nel campo di asparagi © Clara Neri

«Abbiamo cura delle persone prima ancora che del prato e questa si concretizza attraverso il lavoro», spiega il presidente. «In azienda, almeno il 30% del personale assunto è composto da dipendenti svantaggiati con fragilità, per lo più di tipo intellettivo, o disagio psichico. Insieme agli altri operano 20 ragazzi che beneficiano delle attività diurne e sono impegnati ogni giorno in laboratori protetti e percorsi di inserimento guidato al lavoro».

 

L’azienda agricola si dipana su 150 ettari di cui 50 coltivati con ortaggi e frutta di stagione, cereali antichi e una vigna che produce Pignoletto, il più caratteristico vino dei Colli bolognesi, tutto rigorosamente biologico per non impattare troppo sull’ambiente e sui consumatori. Così, fianco a fianco, ogni giorno educatori, operatori agricoli e persone con disabilità lavorano alacremente, seminano zucchine, insalate, pomodori e peperoni, raccolgono albicocche, pesche e susine.

 

La terra accoglie tutti e ognuno trova l’attività in cui è più portato con un mix di impegno e serenità da condividere. «La fatica crea solidarietà», sottolinea Lorenzo, «e quando ci chiniamo sui campi siamo tutti uguali. La terra educa all’inclusione e accomuna, offrendo attività varie a cui occorre adattarsi, di stagione in stagione. Insegna a percepirei giorni e i mesi che trascorrono e questo è molto importante per chi non riesce facilmente a concepire il concetto del tempo. Lavorando, le persone hanno la possibilità di sviluppare una loro identità e di accrescere la propria autostima. Si scoprono capaci di guadagnarsi da vivere. Curando l’ambiente curano se stessi».

 

Orazio mostra fiero il suo podere, spiega che le insalate da raccogliere in questo periodo sono la gentilina e la lattuga canasta, che le fragole hanno preso freddo e per questo le hanno dovute coprire con i teli, e indica dove sono le arnie per il miele, là oltre il laghetto. Racconta di quando guida il grande trattore a cingoli.

Immagine di una donna in un orto

Emanuela, operatrice agricola nel vivaio © Clara Neri

«Il nostro non è un lavoro normale», spiega Elisabetta, che alla Copaps si occupa di conti e bilanci, «dietro ai numeri che gestisco ci sono i ragazzi: ne ho visti passare tanti e qualcuno mi ha lasciato il segno. Appaiono senza barriere, spontanei e spesso sono loro a motivarmi e a farmi sentire accolta. Quando mi sento giù di morale, il loro istinto e la loro sensibilità è un toccasana. All’inizio facevo fatica a distinguere la disabilità, a capire chi erano i cosiddetti “normali” e chi i fragili, perché ognuno è un mondo originale e unico. E così come si aspettano i frutti dalla terra, anche con loro i risultati sono progressivi: spesso arrivano qui con grandi insicurezze, ma quando capiscono che riescono in qualcosa e sono utili sbocciano nel vero senso della parola. Orazio aveva mille paure ed è riuscito a prendere il patentino peri mezzi pesanti. Ora è il trattorista ufficiale».

 

In questi 40 anni la cooperativa si è estesa, in progetti, ettari, incontri. Oltre alle attività del podere, ha aperto un agriturismo-laboratorio immerso nella lavanda, si occupa di manutenzione del verde con una squadra di giardinieri e, di recente, ha inaugurato una falegnameria sociale.

 

Emanuela arriva dal vivaio con una cassetta di piante officinali, avvolta da un delizioso odore di erba pepe. Spiega, come se recitasse una poesia, che per il basilico occorre la mezza ombra, mentre per il rosmarino prostrato il sole pieno. La grande serra è un caleidoscopio di colori e una bolla di profumi densi e terapeutici oltre a essere il cuore pulsante dell’azienda dove perdersi tra elicriso e santolina dai fiori gialli, cedrina, melissa, menta e maggiorana, petunie, bocche di leone, gerani e salvie da fiori, rose e piante perenni.

 

Andrea invasa, Simona rastrella, l’altro Andrea si occupa dei clienti. Elena super visiona e coordina, «la relazione con i ragazzi, per noi operatori, è un ciclo continuo, come quello della Terra», dice. Un’esplosione di fioriture, di mani ruvide che accarezzano germogli, di passi terrosi. E di sguardi teneri per la terra e i suoi frutti, da aspettare con pazienza.

Articolo tratto da La Freccia