In apertura Mika, foto di Lucely Bautista 

Colorato, creativo, un po’ folle. Mika è, senza dubbio, una delle popstar più originali ed eclettiche sulla piazza. Un gioiellino duttile, capace di rimanere credibile quando compone hit e, al contempo, in grado di accendere la curiosità degli spettatori sul piccolo schermo dietro al bancone dei giudici di X Factor o come showman di Stasera CasaMika.

Ora è in corsa con due bellissime avventure: l’Eurovision Song Contest, a Torino dal 10 al 14 maggio, e il The Magic Piano Tour che dal 18 settembre regala due spettacoli totalmente differenti in ogni città toccata: Verona, Firenze, Bari, Milano e Roma. La prima sera in un teatro ci sarà uno show più intimo, la seconda in un’arena la performance cambia in un’esplosione di intrattenimento. Una tournée a cui il cantautore (ormai) italiano d’adozione tiene particolarmente.

Partiamo dal primo progetto, l’Eurovision Song Contest, che condurrai con Alessandro Cattelan e Laura Pausini.

Un programma straordinario. Aver scelto noi tre permette di inserire nella conduzione e nella scrittura dello show la nostra parte personale oltre a quella artistica. L’approccio è molto creativo. Fino a quando non ci si entra non si capisce quanto sia stupefacente. Stiamo cercando di costruire lo spettacolo ed è impressionante la sua complessità: una sfida enorme, in un momento così difficile per l’Europa, offre anche un’altra chiave di lettura, visto che il concorso ha, come fondamenta, l’universalismo del Vecchio Continente.

Torino è una città che ha molta importanza per te. Che ricordi hai legati a quel luogo?

Il bicerin! (ride, ndr). Bordighera e Torino sono stati i primi posti italiani che ho visitato da piccolissimo. Con mia madre e mio padre partivamo dal sud della Francia per andarci e mi ricordo questa bevanda al cioccolato buonissima e gli aperitivi giganti.

Come ci si sente a rappresentare l’Italia da non italiano?

È incredibile. Per la mia identità e filosofia di vita è molto potente. Essere europeo è un’ideologia di cui hanno parlato filosofi e scrittori come il francese Victor Hugo. Si rievocano i tempi in cui la luce intellettuale era più brillante perché i muri erano abbassati. È un fatto, non un concetto. Quando i muri si alzano arrivano tempi bui. Quando c’è condivisione si fa un gigante passo avanti. Io sono americano, ma mi identifico con la filosofia europea.

Mika, Laura Pausini e Alessandro Cattelan

Mika, Laura Pausini e Alessandro Cattelan, foto di Giulio Rustichelli

Come si pone una popstar in un mondo che è cambiato così tanto nel giro di due anni?

La risposta di un artista deve essere sempre poetica. Il Covid-19 è stato un momento surreale, ma anche di trasformazione: quella pausa arrivata così bruscamente ci ha dato la possibilità di ribaltare la vita, farci domande importanti. Dal mio punto di vista, nei miei concerti, sono allergico alla banalità, cerco di trovare un linguaggio unico, ancor più di prima, per non sprecare un’opportunità. Ho un’urgenza di unicità nel raccontare le cose. Quello che sta succedendo con la guerra è di una brutalità e una violenza da lasciare senza parole. Una storia che sappiamo, poi, solo in parte, non avendo accesso a tutte le informazioni. È molto destabilizzante, ma quello che mi spaventa di più è la parte umana.

Sarebbe a dire?

C’è una guerra in Europa, ma non è un conflitto europeo. Il vero problema, per il nostro continente, è dove raccogliere la più grande migrazione di profughi e rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Sono famiglie senza preparazione, bambini che stanno arrivando da soli senza un piano. Il sistema per organizzare questa situazione è delirante quanto la violenza con cui è deflagrata.

L’artista ha anche il compito di alleggerire determinati momenti.

Si può fare, ma rispettando la parte umana. Dobbiamo essere al servizio dell’emozione per provocare empatia. Bisogna evitare di cadere nella fredda trappola delle statistiche, non predicare storie, ma comunicarle con umanità.

Mika

Mika, foto di Danilo D’Auria

A settembre inizia The Piano Magic Tour. Cos’è, per te, il pianoforte?

È casa. Sono un musicista e un autore, sto lavorando a una colonna sonora con tre diverse tribù nel nord dell’Africa e componendo 45 minuti di brani sinfonici per un film. Ma non so né leggere né scrivere le note. Nonostante questo, suono e compongo. Il pianoforte mi permette di scolpire la musica. Il piano ha visto, ha vissuto e sofferto la mia prima delusione, le mie prime melodie, la prima volta che ho baciato una ragazza - ed è andata malissimo - la prima volta che ho baciato un ragazzo - ed è andata molto meglio - la prima volta che ho passato la notte con una persona, la prima volta che ho perso qualcuno cui tenevo. Al pianoforte ho vissuto la malattia di mia mamma, scrivendo e chiedendo a lei di cantare quello che componevo. Il piano c’era quando lei è morta e quando è nato il mio primo nipote. Porto il pianoforte, sul palco, da solo, per fare capire la forma di supporto che mi offre questo strumento. E poi in arena diventa magico. La dualità spettacolare e recondita del piano ci fa capire che siamo tutti capaci di sognare ed essere più forti rispetto alla violenza della vita.

Cos’è la magia per te?

Creare il mondo dal niente. Anche se quello che componi non è una cosa perfetta, ti senti meno impotente. Ci si sente come un supereroe. Poi, quando questa sensazione viene a mancare, si cerca nuovamente quel feeling. E si ricomincia: è un cerchio.

Sei stato coach e giudice di talent show. Cos’è, per te, il talento?

Tantissime cose. È una parola abusata, per me non è legata alla bravura tecnica: la cosa più difficile è arrivare al cuore di tanta gente. Il talento è una luce e, quando si identifica, va coltivato, non schiacciato. Adesso c’è un autosfruttamento delle proprie capacità. Già a 16 anni si ha una fretta incredibile di diventare popolari, senza preparazione. In questo modo, il talento diventa una fiamma che si brucia. La maturità è fondamentale. Per questo mi dispiace che musica e arte stiano scomparendo dalle scuole pubbliche. Questo ha delle conseguenze. L’arte va difesa.

Mika durante il concerto del 24 novembre 2019 a Torino

Mika durante il concerto del 24 novembre 2019 a Torino, foto di Francesco Prandoni 

Sei sempre in viaggio. Che cosa rappresenta per te?

Libertà. L’idea che posso essere nello stesso tempo a casa e in diversi posti. È bello muoversi velocemente, ma la fretta diventa droga. Ho un’idea romantica del viaggio: quella degli americani che si spostavano in Europa portando mezza casa con loro, quando per arrivare in un luogo ci volevano tre settimane. Devo coscientemente frenarmi dal viaggiare troppo per goderne di più.

Sarebbe a dire?

Lasciare spazio alle idee e all’ispirazione. È importante anche comprendere quello che stiamo vedendo. Mi sono ritrovato recentemente bloccato ad Atene, con il Covid-19. Non conoscevo la città, c’era il lockdown e non parlavo una parola di greco. Quando sono guaritomi sono sentito un adolescente, ho scoperto lentamente tutte le parti di quel luogo, ma ho anche avuto modo di capire quello che era importante per me. Ho fatto un reset, rivalutando tutto. Bisogna viaggiare anche nelle zone che non conosciamo, senza un’organizzazione. In Italia ho iniziato dal nord e piano piano sto scendendo verso il sud: prima Torino, poi Milano, Firenze. E adesso anche Roma.

Che ne pensi?

È una città pericolosissima perché ti porta a fare cose che non faresti mai. Ha un magnetismo potente. Accade lo stesso a Napoli.

Mika durante il concerto del 24 novembre 2019 a Torino

Mika durante il concerto del 24 novembre 2019 a Torino, foto di Francesco Prandoni 

Se dico la parola “treno” cosa ti viene in mente?

Agatha Christie, ovviamente. Ma anche le idee che mi si accendono guardando il paesaggio di fronte ai miei occhi. Il treno è molto meditativo, mi piace tantissimo. Regala un senso di contatto con la terra. Emozionalmente, quando arrivi in una città, ti prepari al luogo che stai raggiungendo, senza lo shock di salire e scendere da un aereo.

Hai qualche ricordo in particolare legato ai binari?

I viaggi in treno, in Cina, con la mia famiglia. A 18 anni, sul treno da Shangai a Pechino, ho iniziato a canticchiare un pezzo seguendo il ritmo dei binari. E, alle 2 del mattino, ho scritto la canzone Lollipop.

Parli spesso di famiglia…

È la parola più complessa, ricca, felice, difficile del mio vocabolario. È giusto così. Però, quando penso a questo concetto, mi viene in mente la collettività, l’idea di non essere chiuso né dominante ma flessibile. La famiglia è come un vento forte: pensi di poter resistere, ma a volte devi cambiare, è un’evoluzione continua.

E se ti dico “Mika” cosa ti balena in testa?

Il pezzo di una catena, frutto di tantissime persone che ci sono adesso o ci sono state e ora non più. Un individuo non isolato, parte di un puzzle più grande fatto di cuore, famiglia, musica e di tutte le anime che riempiono la vita.

Settembre:

  • Verona, 18 (Teatro Filarmonico) e 19 (Arena di Verona);
  • Firenze, 21 (Teatro Verdi) e 22 (Nelson Mandela Forum);
  • Bari, 25 (Teatro Petruzzelli) e 26 (Pala Florio);
  • Milano, 29 (Teatro degli Arcimboldi) e 30 (Mediolanum Forum).

Ottobre:

  • Roma, 3 (Auditorium Parco della Musica) e 4 (Palazzo dello Sport).

Articolo tratto da La Freccia