Richard Geoffroy ha guidato per ventotto anni, come chef de cave, le cantine Dom Perignon, assemblando e scegliendo ogni singolo dettaglio per creare l’iconico Champagne. Uomo di grande carattere e forte personalità, si è sempre posto obiettivi professionali alti e li ha raggiunti con successo. Con tale trascorso, Geoffroy non poteva che intraprendere una nuova sfida, nata sei anni fa nel lontano Giappone: il suo Sake IWA 5, presentato in Italia a Roma e Milano pochi giorni orsono.
Ha scelto, come ha sempre fatto con le Cuvée di bollicine, da abbinare alla sua nuova “creatura”, la cucina di alto livello e la creatività di chef di talento. Armani Hotel a Milano con i piatti di Francesco Mascheroni e Hotel de Russie a Roma con il menu di Nazzareno Menghini per puntare ancora sull’armonia dell’assemblaggio, in un abbraccio tra la cultura artigianale ed enogastronomica di Oriente e Occidente.
«Richard il ritorno» esordisce Geoffroy felice di essere nuovamente in Italia, e inizia a raccontare come la sua passione viscerale per il Giappone lo abbia portato a creare non solo una versione di sakè, ma a realizzare, nel cuore della millenaria tradizione del Sol Levante, una sagakura, una distilleria di sakè, in un momento in cui il numero di kuras attivi si riduce e vengono concesse pochissime licenze per la distillazione.
La distilleria di IWA è uno spazio ispirato alla tradizionale architettura rurale giapponese ma creato, al medesimo tempo, per favorire la sperimentazione, esprimere un paesaggio unico, integrare tutti gli elementi di creazione, costruire una propria comunità.
«Qualche anno fa, un giorno qualsiasi - racconta Richard Geoffroy - mi stavo facendo la barba e ho pensato che fosse il momento di sperimentare qualcosa di nuovo, perché nulla di ciò che pensiamo è fisso, già deciso. Sarò stato in Giappone novanta volte, Dom Perignon in quel Paese è un culto, quindi ero molto presente. Ho sviluppato un rapporto particolare con il Giappone e con la sua gente, mi sono davvero perduto in Giappone citando il film. Quando ho scoperto il sakè, ho capito essere l’identità stessa del Paese, in un calice di sakè ci sono così tanti elementi fondamentali di quelle culture. Poi è chiaro che - prosegue - quando incontro un liquido, tendo a farlo a mio modo e cosi è stato anche con il sake, una visone e un’ambizione allo stesso tempo, un abbraccio che vuole esprimere al mondo il potenziale di quel distillato».
Eccolo quindi il suo Sake IWA 5, un nuovo intrigante paradigma che riflette lo spirito della sperimentazione continua, di una costante ricerca volta a superare i propri limiti, e dona nuova linfa a un processo finora rimasto quasi immutato, attraverso una maestria nell’Assemblage unica. IWA in giapponese significa “roccia” o “roccia bianca” e deve il suo nome al sito di Shiraiwa, situato nella città di Tateyama (prefettura di Toyama).
E anche in questa scelta di un territorio dell’Ovest del Giappone, si può utilizzare la parola terroir per capire quanto sia stata complessa la scelta di un luogo che avesse acqua e terra, vento e pioggia, sole e roccia, ai migliori livelli, tra le montagne sacre del Giappone, il Fuji e il monte Tate, non lontano dal mare. «Il 5 sulla bottiglia, è il numero dell’armonia - aggiunge Geoffroy - un numero universale che, nella mia mente, rappresenta l’assemblaggio, un processo complesso e complicato che riunisce gli elementi del blend tra varietà di riso da differenti origini, coltivato dai piccoli produttori locali».
Dal punto di vista degustativo il sake IWA presenta un grande equilibrio tra naso e palato. La ricchezza e l’eleganza ne sono i principali tratti olfattivi, sinuosità e pienezza, insieme ad un lunghissimo finale, ne sono le pregevoli caratteristiche al palato. Un sake che regge con ottimo carattere l’utilizzo a tutto pasto.
Il Giappone è un luogo di grande ispirazione, capace di prendere anima e cuore di chi lo vuole conoscere a fondo, come ha fatto Richard Geoffroy che così conclude:
«C’è indubbiamente un qualcosa di filosofico, una forza non comune. Le emozioni sono per tutti coloro che le vivono, quale che sia il luogo dove abitano. L’identità locale che vivo in Giappone, parla al mondo. Tutto è così stimolante, e io cercavo proprio qualcosa del genere, chi mi permettesse di vivere appassionatamente».
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