«Tu sei importante. Nessuno ha il diritto di danneggiarti per la tua razza, per il modo in cui esprimi il tuo genere, o per la tua sessualità perché, prima di tutto, tu sei». Gli

autoritratti in bianco e nero di Zanele Muholi, artista sudafricana riconosciuta in tutto il mondo, sono vere e proprie picconate poetiche ai muri del pregiudizio, denunce contro il razzismo secolare, prospettive diverse rispetto all’eurocentrismo, rivendicazioni femministe e sguardi aperti sulle politiche sessuali.

 

Muholi ama definirsi attivista ancor prima di artista e ogni sua fotografia racconta una storia precisa, è un riferimento a esperienze personali o una riflessione su un contesto

sociale e storico. Il suo sguardo punta dritto all’osservatore, accusa, inquieta o commuove per l’intensità e la fierezza, mentre oggetti di uso comune, qui composti in chiave simbolica, alterano il suo corpo idealizzandolo, facendolo diventare altro. Così, per rappresentare Bester, la madre scomparsa prematuramente dopo aver lavorato tutta la vita come domestica, l’artista si incorona con una ghirlanda di mollette da bucato.

 

«Siamo qui, con le nostre voci, le nostre vite», dichiara Muholi, descrivendo con sacralità la condizione di subordinazione di molte donne nere sudafricane sottopagate e al servizio di altri.