In apertura Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso (2003-2023) Courtesy Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Biella Prodotto da Dart - Chiostro del Bramante

È il 1960, Michelangelo Pistoletto ha 27 anni e a Torino si tiene la sua prima mostra personale. Alla Galleria Galatea vengono esposti autoritratti, figure di atleti, paesaggi e una natura morta. Gli sono necessari un paio d’anni per approdare alla realizzazione dei quadri specchianti, lastre di acciaio inox sulle quali vengono applicate sagome, perlopiù umane, in dimensione reale. Una mediazione che costringe il visitatore a relazionarsi con la propria immagine in prospettiva e, contemporaneamente, con lo spazio in cui l’opera è immersa.

 

Qualche anno dopo vede la luce la Venere degli stracci, opera del 1967 che diventa presto emblema del movimento dell’Arte povera. In poco meno di un decennio, il genio di Biella passa dalla pittura alla reinterpretazione della scultura e, negli anni, continua a rispondere alla chiamata dell’arte mischiando forme, materiali e linguaggi. Prova, sperimenta e colpisce con accostamenti insoliti, talvolta al limite del caricaturale, creazioni spiazzanti e impregnate di messaggi, all’apparenza vaghi, ma di forte impatto visivo. Un universo che ne contiene altri, un organismo che si definisce tramite la sua forma in perpetuo fieri.

 

La mostra Infinity. Michelangelo Pistoletto. L'arte contemporanea senza limiti si avvale di questa interpretazione per ricostruire, attraverso le creazioni simbolo che rappresentano proprio l’icona dell’infinito, la carriera di Pistoletto.

L’indagine parte dalle opere storiche e arriva alle più recenti raccontando l’attività del maestro dal 1962 al 2023. 

Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci (1967) Courtesy Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Biella

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci (1967) Courtesy Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Biella

 

A ospitarla, fino al 15 ottobre, è il Chiostro del Bramante di Roma: l’architettura rinascimentale entra in dialogo con i pezzi che compongono l’allestimento, dai quadri specchianti a Metrocubo d’infinito, da Autoritratto di stelle ai lavori più recenti, per un totale di 50 opere e quattro grandi installazioni site specific.

Il visitatore interagisce con loro e diventa a sua volta veicolo d’arte, alterando lo spazio con il suo passaggio e partecipando così alla narrazione.

 

Il percorso, a cura di Danilo Eccher, non punta a mostrare didascalicamente l’evoluzione del genio ma vuole chiarire quanto il processo creativo viaggi attraverso il flusso delle idee, generando un magma che può solidificarsi in diverse forme, a seconda del momento e dell’intenzione.

In questo senso quella al Chiostro è «una mostra collettiva di un unico artista», come afferma Eccher. Perché nella produzione di Pistoletto una moltitudine di “io” cerca e trova spazio. Il segno dell’infinito è la rappresentazione grafica di questa pluralità, fatta di caos regolato e complessità irriducibile.

 

Articolo tratto da La Freccia