In apertura Luigi Ghirri, Emilia Romagna (1988), serie Paesaggio Italiano. Collezione privata ©Eredi Luigi Ghirri
Quali sono le motivazioni e i sentimenti che portano a mettersi dietro a una macchina fotografica? Con la mostra Luigi Ghirri. (Non)luoghi, a Palazzo Bisaccioni di Jesi fino al 31 luglio, la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi e la curatrice Roberta Angalone, organizzatori dell’evento, si sono posti questa domanda per analizzare la ricerca di un maestro della fotografia contemporanea, a 30 anni dalla sua scomparsa.
Luigi Ghirri, New York (1989) serie Atlante metropolitano. Collezione privata © Eredi Luigi Ghirri
Le 40 immagini collazionate, provenienti da collezioni private, mettono in risalto due principali temi. Il primo, sviluppato nella sezione introduttiva del percorso espositivo, è dedicata all’avvicinamento di Luigi Ghirri al mondo dell’obiettivo, iniziato negli anni ’70, con la frequentazione degli artisti concettuali modenesi e i primi scatti realizzati solo durante le vacanze e nei weekend, soprattutto dopo aver visto cambiare l’Italia in modo repentino. Nato nel 1943, Ghirri ha infatti vissuto il clima del dopoguerra, il boom economico e il fermento culturale degli anni ’60, sviluppando un desiderio di conoscenza che ha poi trovato forma con i suoi click.
Luigi Ghirri, Modena (1973) serie Kodachrome. Collezione privata © Eredi Luigi Ghirri
Le sezioni successive sono invece riservate ai luoghi, ai volti del tempo, ai non luoghi e all’architetto Aldo Rossi, con cui il fotografo ha condiviso l’interesse per la periferia, spazio che per entrambi racchiude una forza evocativa di storia e memoria. Ghirri è attratto dall’ambiente umano, non ai mutamenti del paesaggio, ma a quelli del vivere. Si riscopre così un’artista a tratti quasi malinconico, incantato, sospeso, romantico, in grado di trovare senso e provare stupore e meraviglia con le piccole cose, spogliate del velo dell’abitudine.
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