In apertura, lo stadio Sant’Elia, ormai dismesso, e accanto l’Unipol Domus © murasal/AdobeStock

Sono in Sardegna per registrare una puntata di Linea verde, è sabato, giro per il centro storico di Cagliari e mi convinco di quanto sia davvero una delle città più vivibili d’Italia per la qualità della vita e l’energia autentica che sprigiona. Ho deciso di passare la mattinata al mercato civico di San Benedetto, uno tra i più grandi d’Europa, anima della città e del suo commercio, e operativo fin dal 1957.

Sono arrivato alle 7:30, poco dopo l’orario di apertura, e non riesco ad andare via. Come se guardassi incantato il mare o il fuoco in un camino, rimango a osservare le persone muoversi tra gli stand. Le guardo fluire in un contesto decisamente pop, le ascolto parlare il dialetto e cerco di comprendere il codice comunicativo del territorio e lo stile dei suoi abitanti. La tappa in questo mercato è imprescindibile, insomma, per capire meglio i cagliaritani, le loro abitudini, i profumi e gli odori di questa magica città. Avverto un grande fermento, molte persone parlano di calcio e capisco che il Cagliari giocherà in casa.

Decido allora di comprare il biglietto per la partita. Alle 15 sono allo stadio: il sole illumina il terreno di gioco, dove i rossoblù stanno affrontando gli avversari in una gara contraddistinta da grande agonismo. La curva è gremita, la posta in palio alta e le squadre si stanno battendo per la vittoria senza risparmiarsi. Ho preso un biglietto di tribuna per godermi meglio lo spettacolo e accanto a me siede un ragazzo con una sciarpa al collo. Mi sorride ma si percepisce che è in tensione per la partita, soffre in silenzio e sussulta ogni volta che il Cagliari passa la linea del centrocampo. Conosce i nomi di tutti i giocatori e li incita come se fossero suoi amici. Provo a parlare con lui ma capisco che è meglio aspettare la fine del primo tempo. Durante l’intervallo vado al bar e prendo due birre, torno nella mia postazione, ne offro una a lui e gli chiedo se conosce i giocatori visto che li incoraggia chiamandoli per nome.

William Pitzalis, chef del Cagliari calcio

William Pitzalis, chef del Cagliari calcio

Mi risponde a capo chino, evitando qualsiasi forma di ostentazione: «Sono il cuoco del Cagliari calcio». Rimango colpito dal suo atteggiamento: nonostante lui incontri ogni giorno quei ragazzi, provando a deliziare i loro palati con la sua cucina, si comporta come un bambino che vede per la prima volta i propri idoli. Mi dice che si chiama William Pitzalis, cominciamo a parlare delle nostre rispettive passioni e scopriamo di essere entrambi dei sognatori.

Il suo lavoro mi incuriosisce e comincio a fargli domande più specifiche. Mi spiega che l’alimentazione di un atleta ruota attorno ad alcune regole fondamentali, non troppo diverse da quelle che ognuno di noi dovrebbe osservare. «La copertura energetica e nutrizionale, per esempio, deve essere composta da macro e micronutrienti e distribuita durante la giornata nell’arco di cinque pasti, tenendo conto dei momenti topici che corrispondono agli allenamenti. In virtù di questo, bisogna badare ad aspetti come la digeribilità dei cibi e l’apporto di carboidrati complessi nel corso delle 24 ore, oltre al giusto riposo come momento di recupero», spiega. In poche parole, i calciatori a tavola devono mangiare nelle giuste dosi e in modo vario, affinché ci sia nello stesso tempo completezza nutrizionale e soddisfacimento del gusto.

Appagata la mia curiosità sul tema gli chiedo da dove venga. Mi risponde che è di Sant’Elia, quartiere a sud di Cagliari dove sorgeva l’omonimo stadio cittadino sostituito oggi in via provvisoria dall’Unipol Domus. «Questa zona è un simbolo della città, uno dei suoi luoghi più suggestivi, nonostante abbia dentro di sé un sacco di cemento armato, i palazzoni e tanti stereotipi ancora da sfatare. Quando arrivi ti sembra di entrare in un posto familiare, ora ancora più bello e molto più verde di un tempo. Nel 2008 Jovanotti, il mio cantante preferito, ha deciso di donare al quartiere degli alberi da piantare e, a marzo dello scorso anno, è stato inaugurato il parco che porta il suo nome. Un modo per restituire al territorio uno spazio fruibile soprattutto dalle famiglie».

La mia curiosità cresce sempre di più e, a questo punto, gli chiedo di accompagnarmi a visitare la zona. Entrati nel cuore di Sant’Elia, mi accorgo di essere in una dimensione differente, lontana dal caos del centro cittadino e circondata da un’atmosfera difficilmente spiegabile a parole. Incrociamo una suora che saluta William con affetto e familiarità. Lui mi spiega che ogni settimana prepara i pasti per gli homeless di Cagliari e questo, insieme agli sguardi delle persone che incontriamo, mi conferma che è un uomo speciale.

Il Lazzaretto di Cagliari

Il Lazzaretto di Cagliari, Courtesy Cooperativa Sant’Elia 2003 © Silvia Saba

Sulla nostra destra vedo un edificio accarezzato dalla brezza marina e lui mi assicura che da lì si può ammirare uno dei più bei tramonti della regione. Si tratta del Lazzaretto di Cagliari, un luogo di ricovero attivo tra il 1600 e il 1800 per i presunti portatori di malattie epidemiche come peste, vaiolo e tifo. Durante la Seconda guerra mondiale venne utilizzato come rifugio per gli sfollati, che diedero origine al primo nucleo abitativo del borgo. Restaurato nel 1998, mi spiega con grande energia il mio Cicerone, oggi ha una funzione completamente differente:

«Ora è un’autentica meraviglia, per me il posto più bello di Cagliari. Ospita esposizioni temporanee, eventi culturali, convegni, spettacoli, manifestazioni legate a prodotti artigianali, l’Accademia d’arte di Cagliari e l’Accademia del buon gusto, la mia creatura». È una scuola di cucina peri giovani del quartiere e mi racconta di come sia riuscito ad aprirla grazie all’apporto degli amici e delle amiche che hanno creduto nel progetto. «Ora l’Accademia rappresenta una vera e propria casa per tutti coloro che un domani sognano di lavorare in questo settore», precisa.

Sono affascinato dal Lazzaretto e ne voglio sapere di più. William mi racconta che negli ultimi anni è stato il cuore pulsante del progetto RigenerAzione Urbana sviluppato nel quartiere Sant’Elia. Sono state realizzate azioni di progettualità partecipata, come il recupero e la pulizia di spazi urbani da parte dei cittadini, oltre all’organizzazione di attività culturali e didattiche rivolte ai giovani. Insomma, il Lazzaretto è una seconda casa per molti, anche per lui.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: «Che mi dici del futuro? Quali obiettivi hai?». William ci pensa per un po’ in silenzio e poi mi risponde: «Vorrei solo non smettere mai di sognare. E magari continuare a farlo nel mio quartiere, in un posto straordinario come il Lazzaretto, insieme a ragazzi e ragazze ai quali trasmettere la passione per il mio mestiere». Lo guardo ammirato, lo sento vicino per visioni e intenti e ci abbracciamo. In fondo, siamo entrambi sognatori.

Articolo tratto da La Freccia