Un profondo amore per la sua terra e per i vini che essa sa offrire a chi la tratta con cura e passione. Con questi principi e in decenni di lavoro Graziano Prà è diventato un importante protagonista del mondo del vino. Un vignaiolo lungimirante nelle terre del Soave e della Valpolicella che si è saputo circondare di giovani professionali e motivati che compongono una squadra vincente. Nel presentare i suoi vini a Milano, scegliendo la cucina firmata da Giancarlo Perbellini ed eseguita con grande talento da Simone Tricarico, ha voluto accanto alcuni di loro: Valentina che segue il mercato domestico, Diego, responsabile di quello internazionale, e Cristina, responsabile della comunicazione e dell’accoglienza in cantina.
«Mi sono sempre dedicato a fare il vino. Ho cominciato con nulla, con il diploma alla scuola enologica di Conegliano Veneto - inizia a raccontare Graziano Prà - mio papà aveva vigneti, poi è scomparso quando io avevo vent’anni e ho cominciato questa attività con uno dei miei due fratelli. Le prime esperienze nei primi anni ottanta, in piccole cantine, un momento buio e triste in Italia con improvvise gelate e nel 1985 la grande nevicata che distrusse tutti i vigneti in collina. Per qualche anno diversi Soave non sono usciti. Nel 1986 lo scandalo del metanolo. Ma siamo sopravvissuti, perché da quel momento così difficile, non si poteva che crescere».
«E così è stato, ripartendo con pochi vigneti - prosegue Prà - il problema in quegli anni non era fare vini buoni di qualità ma era venderli. Non mi vergogno di dire che sono partito vendendo damigiane, la prima a Verona e neanche in centro, ma in periferia. I miei primi quindici ettolitri li ho imbottigliati nel 1983 ed ero così fiero che qualcuno potesse comprarlo. Ma non avevo imbottigliatrice, stavo in un sottoscala, mi sono appoggiato a un mio amico un po’ più strutturato. La mia avventura da vignaiolo era iniziata. Nel 1987 arriva la prima citazione in una guida e mi sono sentito quasi in imbarazzo». Una storia umana forte e appassionata quella che Graziano Prà consegna con gentilezza e umiltà, come solo chi l’ha scritta da solo si può permettere.
«Ho aspettato un po’ e nei primi anni ‘90 sono andato in banca per costruire la mia prima cantina. Con un tetto sulla testa, mi sentivo Antinori… Con Carlo Nerozzi, mio grande amico saliamo sulla sua Fiat Ritmo e partiamo per la Germania dove si teneva la prima edizione della Borsa Italiana Vini. Tornato a casa soddisfatto, sono andato al Vinitaly, dove il riscontro è stato attento e decoroso. Da lì siamo cresciuti, ho sempre creduto nella potenzialità di questa zona e nella capacità del Soave reggere il tempo. Una potenzialità del Soave Classico, che possiede una longevità, intrinseca nel vino».
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Questa qualità è proprio quello che Graziano Prà ha capito e intorno alla quale produce vini di grande prestigio. Con la medesima determinazione, il produttore ha compiuto una scelta che, nel mondo del vino e in particolare in quello italiano, è sempre considerata rivoluzionaria. Portare tutta la produzione dei Bianchi al tappo a vite, anche le etichette più importanti dell’azienda, come il Monte Grande, un Soave classico Doc che nasce dai vigneti storici di famiglia e che, come cru, racconta la forza minerale dei terreni vulcanici Soave. E dove il disciplinare lo permette anche per i rossi.
Vulcanico come le sue terre, Graziano Prà ha un aneddoto interessante anche quando parla dei vini che produce Valpolicella, Ripasso e Amarone nei vigneti a 400 metri di altitudine «su di un terreno bianco come questa tovaglia», sottolinea. Successe dunque che la Commissione di assaggio della Valpolicella (che deve approvare la denominazione) respinse la richiesta per un paio di volte. «Allora ho preso una bottiglia e mi sono seduto davanti all’ufficio del direttore. Mi riceve e gli dico, assaggiamolo insieme. Lui degusta e mi chiede quale sia il problema. Semplice, rispondo, le tue commissioni lo rifiutano. Hanno ragione, replica, sembra un Pinot Nero. Ma non lo è gli dico ancora, i vitigni sono quelli previsti: Corvina, Corvinone e Rondinella. Mi disse di avere pazienza, poi lo riferì ai commissari. Solo qualche tempo dopo finalmente ottengo l’approvazione. Questo per dire - conclude - che sono sempre preoccupato di rispettare ciò che nasce nella nostra terra, i miei vini hanno il loro carattere ma qualcuno a cui piacciono lo trovo sempre», e ride di gusto.
Dopo questo bellissimo racconto di vita passata, presente e futura, si degusta il suo Soave che ha chiamato Otto perchè «è dedicato al mio cane, un border collie che si chiamava Otto». Il 2021 in magnum è diritto, pieno di grande eleganza e sostanza. Profumi e freschezza davvero ottimali. Otto 2012 regge con nobile attitudine l’incedere del tempo. Mantiene corpo e struttura, profumi e sentori.
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