Photo: Guido Harari

L'integrità, il carisma, la forza, l'originalità di Ezio Bosso attraverso i ricordi del violoncellista Relja Lukic, del violinista David Romano, della scrittrice Grazia Verasani e di Alessandra Abbado, presidente dell'Associazione Mozart14.

Relja Lukic [primo violoncello del Teatro Regio di Torino]

«Aveva un acume musicale e intellettuale. Una visione molto ampia del mondo e della vita, che riportava nella sua arte, nella sua musica. Questo gli donava un’energia straordinaria. E la sua forza era un lato predominante: riusciva a farci tirare fuori aspetti che non pensavamo di avere». Con queste parole il violoncellista Relja Lukic descrive Ezio Bosso. Un rapporto lavorativo e di amicizia iniziato nel 2008, quando Ezio ha diretto l’Orchestra del Teatro Regio di Torino. «Dovevamo registrare le sue

musiche da film e stava scrivendo anche la prima sinfonia che mi ha visto come violoncello solista». Il musicista non ha dubbi circa l’eredità che l’artista ha lasciato a tutti noi: «È molto importante, per vari aspetti. Il più specifico riguarda l’originalità dei suoi pezzi per strumenti ad arco. In senso più ampio, la sua musica è una sintesi interessante. E un modo che ha trovato, da compositore contemporaneo, di trattare con la tradizione, senza rinnegarla. Più in generale ancora, come direttore è riuscito a far capire la musica anche a chi non aveva gli strumenti per comprenderla. Cosa che ha sempre fatto nei concerti, invitando a un ascolto partecipato, lasciando liberi gli spettatori di applaudire quando ne avevano voglia. Desiderava abbattere il muro creato nel ’900 tra palcoscenico e pubblico, voleva uno spazio comune. Dovrebbe essere da

esempio e insegnamento».

David Romano [primo dei secondi violini dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e spalla della European Philarmonic Orchestra]

«Ho conosciuto Ezio 25 anni fa, quando era nel pieno della sua attività contrabbassistica. Ci siamo ritrovati in un complesso d’archi per una tournée tra l’Africa e la Spagna. Nel tragitto in bus tra Girona e Barcellona una nostra amica si era dimenticata il violino sull’autobus ed Ezio – che parlava correntemente tre lingue – è riuscito a convincere la società di trasporti a tornare indietro per restituire lo strumento. Da lì è rimasto un intenso rapporto di amicizia, soprattutto per una questione caratteriale». Il violinista David Romano ricorda così il primo incontro con il compositore torinese, ospitato più volte nella rassegna siciliana Villa Pennisi in Musica ad Acireale (CT), di cui è direttore artistico, che quest’anno si tiene dal 1° al 14 agosto. Per Romano, «Ezio ha avuto una gigantesca capacità: raccontare al mondo come la musica fosse, da sempre, la sua ragione di vita. Era uno dei migliori contrabbassisti della sua generazione, autore di colonne sonore pluripremiate, riempiva teatri e stadi provocando, nelle persone, sempre la stessa reazione». Bosso ha continuato a dirigere senza sosta, con «eroismo e dignità, senza far mai percepire i dolori della malattia. Ma, anzi, facendo sì che il pubblico scoprisse la musica come elemento di gioia e forza». Il violinista ricorda poi che l’artista ha «costruito una sua filarmonica per fare musica come, quando e quanto piaceva a lui. Con dinamiche completamente diverse dalle altre: siamo tutti amici che hanno passato ore anche semplicemente a ragionare su una battuta. Queste cose si fanno quando c’è un idem sentire. Bisogna ricordarsi cosa ha fatto Ezio e portarlo avanti. È faticoso, in una società iperpersonalizzata come la nostra, sarebbe più facile se ci fosse lui come leader. Fortunatamente, però, il messaggio che ha lasciato ha attecchito in tanti».

Grazia Verasani [scrittrice]

«Ezio era un rivoluzionario che, come tutti i rivoluzionari, non piaceva a parrucconi e burocrati. Aveva le sue visioni e non scendeva a compromessi: la musica era la cosa più importante. Consapevole del proprio valore, aveva un’idea molto disciplinata della musica: oltre al talento, il vigore di una ricerca continua. Cercava integrità rispetto alle proprie scelte, alle proprie idee». La scrittrice Grazia Verasani descrive così Ezio Bosso, cui era legata da una profonda amicizia, tanto che l’esergo del suo nuovo libro Come la pioggia sul cellofan (Marsilio, pp. 176 € 15) ha una frase del romanzo Novembre, di Gustave Flaubert, che le aveva consigliato proprio il direttore d’orchestra e compositore. Dopo essersi sfiorati più volte, l’incontro ufficiale è stato nell’estate 2014: «Da lì non ci siamo più lasciati. Sono stati sei anni potenti, di condivisione: con lui era molto facile discutere del mondo, era una persona illuminante. Qui a Bologna aveva quella che definiva la sua famiglia disfunzionale. Era molto legato a questa città, anche se la politica, ultimamente, l’aveva un po’ tradito». Una figura unica, che fa sentire la sua mancanza nei ricordi: «La quotidianità, gli aperitivi in piazza Santo Stefano, l’umorismo, le battute fulminee con cui capivo che mi conosceva a memoria. Ezio aveva un carisma naturale, amava le persone semplici e non si piangeva addosso. E poi era un grande cuoco, la sua insalata russa era favolosa». Un ultimo pensiero va a quello che il compositore lascia come eredità per tutti noi: «Trasformava il lavoro musicale in una forma di affettività, amava talmente una cosa da farla amare anche agli altri».

Alessandra Abbado [Presidente dell'Associazione Mozart14]

«Ho incontrato Ezio nel 1993, a Ferrara, quando mi occupavo della rassegna Ferrara Musica. Lui suonava il contrabbasso nella Chamber Orchestra of Europe. Ricordo la sua allegria, la vitalità». Così Alessandra Abbado parla di Ezio Bosso: «Era se stesso con tutti, con il cuore e le sue giuste esigenze da direttore d’orchestra. Una delle cose più importanti per lui, dopo il contrabbasso, era dirigere. Ne sono la prova i Carmina Burana all’Arena di Verona e i concerti in sedi prestigiose come l’Accademia nazionale di Santa Cecilia». La presidente dell’associazione Mozart14 è convinta che la grandezza di Bosso sia stata quella di «aprire al pubblico tutte le sue prove per fare capire come costruire un brano, lavorare un passaggio o un movimento di una sinfonia, come limarlo e ottenere il suono che si desidera. La parte espressiva arriva dopo un duro lavoro. Ha fatto amare Beethoven, Bach, Čajkovskij a persone che non si erano mai avvicinate alla musica classica». Infine, un pensiero velato di nostalgia: «Vorremmo ancora molto da Ezio. Per l’umanità, la professionalità, lo studio, l’approfondimento. Era una figura particolarmente dotata, anche di gran cuore. Non a caso è stato scelto come testimonial di Mozart14 per portare avanti i progetti di Casa Abbado. Meglio di lui non potevamo scegliere nessuno. C’erano rapporti di amicizia, scambi di sintonia e di energia. È stato sempre tenace, fino all’ultimo».